domenica 27 gennaio 2008

Imprevisto e imprevedibile


Era successo allora.
Io non più ragazza e non ancora donna,
con l’amico di sempre,
lui compagno di giochi e poi di libri.
Ero stata un po’ confusa,
nell’emozione di varcar la soglia
di un mondo sconosciuto.
Ma lui fu dolce, fu affettuoso.
E io gustai poi, col tempo, un po’ alla volta,
quel mio crescere del desiderio
e quel piacere nell’accogliere il suo.
Divenne così un far l’amore tranquillo.
Eravamo felici? Sì, lo credevo.

Il momento più bello era per me il dopo:
io rannicchiata contro di lui appagato,
il nostro fitto chiacchierare in complicità.
E quel mio struggimento del mio corpo non saziato.
Era quella la conseguenza naturale dell’amore?
Lo credevo, sì.
Avvertivo, ogni volta, il suo piacere intenso
che nel culmine lo scuoteva
e lo appagava appieno.
E io riandavo già con nostalgia
al nuovo incontro,
nel desiderio mio non ancora spento.
Era forse nella natura delle donne
non toccare, come lui, un culmine?
A volte il dubbio, ma poi credevo che sì.

Tanti anni così, da allora.
E una sera – io ormai donna –
ci fu lo sguardo di uno sconosciuto.
Quello sguardo che mi guidava.
Quello sguardo che mi attraeva.
Quello sguardo poi così vicino,
quella notte stessa, nel suo letto.
E fu tutto, d’un tratto, nuovo: io tornata come vergine.

Fu forse per l’intensità - quasi dolorosa - del desiderio.
Fu forse per il furore delle sue mani.
Fu la vertigine che mi fece volare.
Fu la sua generosità sapiente.

Ed emerse così,
improvvisa, imprevista, imprevedibile, inimmaginabile,
dal di dentro del mio ventre,
veloce nell’irrefrenabile crescendo,
lunga e intensissima,
piacevolissima fino ad annebbiarmi,
stupefacente nel sorprendermi,
indicibile nell’estasi a dismisura,
insostenibile nel colmarmi,
l’onda sconosciuta che si irradiò e si diffuse
per tutto il mio corpo, possedendolo.

Che mai mi accadeva?
Perché non era successo mai?
E come mai ne avevo fatto senza?

Piangevo. E singhiozzavo.
Affranta.
Felice.

Colpo di testa


Volevo dare un taglio al mio passato.
Un colpo di forbice e via.
Poi, magari, un riflesso luminoso.
Per trasformarmi in altra donna,
per vedermi diversa.
Forse libera e spontanea, istintiva,
come una che porta la frangetta e si sente viva.
Forse passionale, ma con rigore ed energia, con severità,
come chi ha la tinta scura e ben tirati li porta, raccolti dietro, senza ambiguità.
O forse sensuale e maliziosa, come una con i riccioli,
per gioire degli eventi grandi e piccoli.
Forse libera, come una coi capelli ricci,
che domina le emozioni ed i capricci.
Forse sicura, come una che si tinge mora,
per non apparire e stare un po’ da sola, fino ad una nuova aurora.
O forse più dolce, come una che si fa bionda,
ed essere gentile come una carezzevole onda.
Forse normale, nella gioia e nella pena, da mattina a sera,
come una castana con una femminilità più vera.
Forse più carica, carica fino in fondo,
come una rossa che affronta il mondo.
O forse maliziosa per saper accettar i momenti belli,
come una che si scioglie i capelli.
Forse posata e rispettosa, fra tanti malandati,
come una che porta i capelli sempre legati.
O forse ambigua: dando un duplice segnale, severa o maliziosa,
come chi ha la treccia o la coda, per veder chi a disfarla prima osa.
Vorrei insomma darmi un colore nuovo,
dare alla mia vita un taglio diverso, in cui mi rinnovo,
qualcosa che mi piaccia e che sia bello,
che mi tolga ogni diavolo che ho per capello.
Non so ancora cosa ho in testa,
ma so che devo partir da lì, dalla mia testa.
E se la vita è piatta e noiosa e dura,
qualcosa posso da subito cambiar: l’acconciatura.

Stasera


Stasera, che sera.
Lui mi farà danzare alla luce della luna
e mi condurrà a toccare – come solo lui sa fare – il cielo.
La mia vita non è mai stata tanto ricca di passione.

Che sera, stasera.
Tutto è pronto a casa mia:
pulito, scintillante, profumato,
tutto pronto nei dettagli.
Andrà di certo tutto bene,
voglio stupirlo, per lasciarlo senza fiato.

Stasera, che sera.
Gustosa la cenetta, sulla tavola per due.
I fiori e le candele, la musica soffusa.
La torta è ancora in forno,
buonissimo l’odore.
Attendo impaziente lui, il mio amore.
E’ da tanto che l’aspetto
e che si accorga che non è solo storia da letto.
Sono tanto tanto innamorata,
ho paura che mi lasci, un po’ sono spaventata.
Ma stasera, sì, lo stupirò.

Che sera, stasera.
Farò quel che lui vuole,
sarò come mi vuole.
Servizievole, schiava ubbidiente e appassionata.
E imprevedibile.

Stasera, che sera.
Un bagno profumato, per lui son quasi pronta.
E, ora, a faccia a faccia con lo specchio,
per veder come io sto.
Sì, son morbida e piacevole.
E, pur se sogno un abito flessuoso,
per lui indosso il più stretto e provocante,
sopra una sottoveste bianca e accattivante.
Rossetto che mille baci non toglieranno,
e ho messo i tacchi alti.
Sono in ordine e perfetta.

Che sera, stasera.
Tra poco sarà qui.
Son mesi che l’aspetto.
Non chiamava, non rispondeva.
Gli ho lasciato un biglietto, delicatamente profumato:
Tu ed io, da me, una cenetta.
T’aspetto, di niente vestita.

E ora attendo. Attendo e attendo.
E attendo ancora.
Ancora attendo.
Poi, più non attendo.

Che sera.
E’ tardi, ormai tardi, troppo tardi.
Ho lo sguardo sfatto come la torta che s’è afflosciata,
le mie lacrime son calde come il prosecco riscaldato,
sono uno straccio come il mio biglietto che di certo ha gettato,
l’orgoglio è sotto gli alti tacchi,
il mio viso una maschera triste con tanto di rossetto.
Ho atteso invano, in ansia, esasperata.
Poi l’ho chiamato.
Sorpresa e imbarazzata la sua voce.
Più sommessa un’altra voce, accanto a lui:
ansimante, zuccherosa, conturbante. E femminile.
Sono sconvolta.
Per la rabbia mi mancheranno presto i sensi, lo sento.

Son vuota - d’un tratto - improvvisamente.
Stasera.
Sì, proprio stasera.

Labirinto


Perché dire una bugia? La modestia è la virtù di chi è sciocco.
Io son bella.
E brava: sono arrivata. Intelligente e fascinosa.
Di che altro ho bisogno? Eppure, appagata, no, neanche per sogno.
Attendo, e non so cosa.

Son giovane ancora, e dalla vita ho avuto molto.
Corpo sottile e flessuoso, il viso intenso e femminile.
Il mio sguardo è diretto: son decisa.
Nella mia storia c’è il bello e il brutto, c’è di tutto.
Amo i colori, ma so ascoltare anche i dolori.
Non ho ossessioni, ma sono irrequieta e con contraddizioni.

L’amore?
L’attendo.
Credo di saper amare.
E’ stata una tragedia l’abbandono.
Esser bella e avere qualità è una dannazione:
quando si perde, è perso un prezioso dono, nell’umiliazione.
Da quella sofferenza senza pietà ho appreso solo l’umiltà.
L’umiltà di capire che una donna splendida e speciale
può esser rifiutata e abbandonata.
Eppur mi sembra di saper amare.

La mia attesa è di speranza, pur nella sofferenza.
Di tenerezza ne ho un bisogno estremo.
E sì, credo di saper amare.
Viver la vita dell’altro, ecco. E la passione poi verrebbe.
Un grande amore può far rinascere,
e io mi chiedo se posso provare ancora una passione forte.
Compresa, no, ma vorrei essere ascoltata.

E mi sembra di saper amare.
L’ultima volta che ho pianto è stata stamattina.
Eppur mi sembra - mi sembra - di saper amare.

Così piccola, così donna


Caro diario,
provo un’oscura vergogna.
Quello che accade non mi piace: son diversa.
Mi vien da piangere, così come ora, per la tristezza.
Non mi fido più di nessuno. E la mia amica, lei, non la voglio più.
Quel nostro parlar di cose scabrose mi par ora così volgare.
Le altre amiche, poi, son tutte sconce.
Solo tu, diario, sei la mia salvezza.
Lo sai? Ti rileggo spesso e mi commuovi.
Son forse malata? Non so.
Ieri son rimasta per ore alla finestra, a guardare il cielo.
E a meditare.
E’ così bella la preghiera: una purificazione,
dalla sporcizia e dalla dannazione.
Par che tutti mi guardino e che sappiano.
E vorrei aver abito di novizia, per esser sempre in pace.
Mia madre, la sola che sa, non mi spiega il mio castigo e la condanna.
Dice che ormai son donna, ma che vuol dire?
I maschi li odio: son così stupidi e sporchi.
Anche papà è uguale: mi dà il disgusto quando mamma lo vedo abbracciare.
Sto diventando brutta: meglio così: non mi guarderanno.
Ecco, caro diario, la mia vita è questa, ora.

Il vestito è ancor quello da bambina, dentro si trasforma in donna.
Il suo umore è un’altalena:
sale veloce verso i capricci,
ridiscende verso le coccole,
risale in un’aria maliziosa.
E’ il suo primo incontro con la femminilità.
Non sanno i grandi
il suo imbarazzo e la vergogna
nel dirle che ormai è donna,
non sanno la sua voglia di sprofondare in quel momento.
Disorientata lo sarà, dalle sue stesse sensazioni.
Si scopre più alta e già si gonfia sotto la maglietta il seno.

Non rifiutare, piccola donna, il tuo corpo.
Che le tue compagne ti vedano non è vergogna.
Eppure è anche il tempo del pudore e del coprirsi, senza ostentare.

Vorrà presto vestire come le sue amiche.
Sbaglierà sua madre se le dirà che ancor è piccola
e dei suoi gusti riderà.
Se non capirà, solo il suo mutismo otterrà.
Se comprenderà, l’accompagnerà e con lei sceglierà.

Crescerà, e il suo primo bacio darà: chissà se sarà come l’avrà sognato.
A sua madre mai l’avrebbe raccontato, ma lei lo scoprirà:
sarà per il sentirla confabulare con la sua nuova amica del cuore.
Ancora sbaglierà, invadente, se vorrà sapere: non è la sua confidente.
Ma se turbata la vedrà e le parlerà,
più di cento sue amiche lei varrà.

Non temere, piccola donna.
E non isolarti mai.
Crescere è bello.
Sì, è bello.

E i figli, intanto, chissà che dono avranno


Giovanissima io, ragazzo lui:
innamorati persi.

Per vivere assieme, costringemmo le famiglie contrarie:
lo scandalo d’essere in attesa,
e le nozze precipitose per coprir l’offesa.
Ma con un figlio è un’altra cosa.
E ci lasciammo presto.
Risposata io, mamma d’altri bimbi.
Nuova moglie per lui, con altri figli.

Fu la beffa del destino:
passati gli anni, ma tanti, me lo trovo di nuovo vicino.

Donna posata io, uomo maturo lui:
innamorati persi.

Follia della passione sopita,
magia dei baci e delle carezze che furon la nostra vita.
Tutto abbiam disfatto, senza incertezze,
e i nuovi coniugi lasciati all’abbandono.
Sensi di colpa, nessuno: è stato il Fato che ci ha fatto un dono.
Sì, un dono.

Per una briciola di surrogato d'amore


E’ lui il mio grande amore.
Con gli altri è sesso, con lui è per fervore.

L’ho cercato appena separata,
lui che una amica mia aveva sposata.
Sapevo di piacergli e l’ho voluto,
già sapevo cosa sarebbe accaduto.
Gli dissi che la vita non gli avrei rovinato:
solo riprenderci l’amore negato, questo sarebbe stato.
Ci amiamo nei pomeriggi e in alcune sere,
sul mio corpo solo le sue mani san darmi il piacere.
Mi prende brutalmente, a volte furente,
ma poi – appagato – sa coccolarmi dolcemente.
Altre storie ne ho, e tante,
ma nessuna davvero importante.

A innamorarmi non ci riesco mai.
Ma è lui il mio grande amore, ormai.

Eterna questione


Si possono amare per davvero due uomini?
Io son felice dell’uomo che ho sposato:
è premuroso e attento, mi fa sentire amata.
Però è successa una cosa strana.
Ma due uomini insieme si possono amare per davvero?
Perché io una piccola storia con un amico l’ho avuta.
Lui pure tanto caro.
E siam rimasti in contatto, con sguardi e bigliettini.
E’ normale non avere sensi di colpa?
Ed è normale per una donna amare il compagno della vita
e provare una specie d’amore per un altro?

La mia amica, quella sciocca, sospira, ironica,
con un “beata te”.

Io son felice, senza conflitti.
Ma davvero davvero si possono amare due uomini insieme?
C’è stima e c’è rispetto,
nessuno soffre o fa soffrire.
Un tradimento vero forse non lo è.
Allora si può?
So che si può. Sì che lo so.

Ma se poi penso che lui
possa amar me, me e qualcun’altra,
allora no, non lo so poi più tanto, no.

Illusione svanita


Ieri sera lo amavo ancora, più che mai.
Io innamorata di lui, lui irraggiungibile.
Amarlo era sentirmi viva, ma che rimaneva ormai?
Lui sfuggente continuamente, sempre introvabile.

Ieri sera lo amavo ancora, e più intensamente.
Pur se sfugge, lui dice che mi vuol bene.
Mi domandavo in cuor mio se sarebbe arrivata la felicità, finalmente.
E nel sonno l’ho sognato, tra mille pene.

Apparso così, in tutta la sua indifferenza e assenza.
E ho compreso che non sono poi irraggiungibili le persone:
non si abbraccia il vuoto, né un uomo senza essenza:
era tutto sol nella mia mente, era tutto un’illusione.

Era, lui, soltanto il frutto del mio sogno,
e proprio sognando è svanito l’inganno.
Vana è la sperata felicità futura, se è ora che ne ho bisogno.
L’illudermi da sola nulla aveva di concreto. Se non il danno.

Malata


Lui mi chiama all’improvviso.
Io lascio tutto e vado: lui è il paradiso.

Ho un marito e una famiglia,
ma è lui, solo lui, che mi piglia.

Lui c’è sempre e sempre c’è stato,
pur quando avevo il fidanzato.

Perfino quando ero fresca sposina
era con lui che trascorrevo la mattina.

Per lui ci sono sempre stata e mai l’ho abbandonato,
anche quando era sposato, e dopo, da separato.

Donne ne ha tante, lo so, lui è un disordinato.
Eppure, io lo ho sempre amato.

Mi chiama all’ultimo momento
e fissa una camera per il nostro appuntamento.

Facciamo all’amore un pomeriggio intero:
è la passione e l’oblio, null’altro mi par vero.

Non conta il futuro, non conta il progetto:
è lui l’amore mio, il pieno diletto.

E questa è una certezza di granito:
io lo amerò all’infinito.

Casa con ospite


Ho un ospite fisso, in casa: lui, l’uomo che ho sposato.
Vive in queste stanze come uno che balla e non sa le danze.
Ogni giorno scopre cose nuove: il posto solito di cose che non ha trovato.

Cerca il suo maglione e non lo trova.
Ma è lì, nell’armadio, sempre quello: certo non va, da solo, allo stadio.
E’ un maglione ubbidiente, senza vezzi di trovarsi una collocazione nuova.

A tavola chiede il sale e l’ha davanti agli occhi.
Passano gli anni e ancor non mi capacito, per quanto mi affanni:
non so come viva qui da tempo e ogni volta lui si blocchi.

Le mie amiche, consolanti, mi rassicurano con decisione:
son tutti così, smarriti, son fatti così i nostri mariti.
Io, però, ancor non so farmene una ragione.

Le faccende di casa, poi, sono un tasto dolente.
Se io son stanca e fa la spesa lui, spende il triplo e tutto manca.
Così sospiro e sorrido paziente: faccio io, dai, non fa niente.

Ieri sera cercava lo zucchero, il mio consorte adorabile.
Rido o lo maltratto con rigore? Alla fine sbotto: è nel congelatore.
E, senza batter ciglio, lui lo apre. E guarda dentro. Impassibile.

sabato 26 gennaio 2008

Tradimento


Camminavo, stanca.
Nei rumori del traffico,
nel traffico dei miei umori.
Una voce, dietro di me: la sua.
Mi volto sorpresa: sei tu, proprio tu.
E mi si ferma il cuore.
Siamo davvero noi. Di nuovo.
Noi come allora, una vita fa.
La sua mano sfiora la mia,
la mia con la fede al dito.
Parliamo, sorride, mi prende l’emozione.
Parliamo, mi guarda, sorridiamo.
Mi sorprende il tumulto del mio cuore nella commozione.
Parliamo, ci guardiamo, sorridiamo.
Siam presi, come allora.

Telefono inventando una scusa che sia vera: rientro tardi stasera.
Con lui, a bordo con lui, solo con lui,
verso una zona isolata e scura.
Accade tutto, in quel buio:
sesso, passione e affetto.
Sono travolta: è la prima volta.

Camminavo, stanca.
E riprendo il cammino.
Sulla mia mano ancor l’odore suo
- e la fede al dito.
Nel rumore del traffico.
Nel traffico del mio nuovo umore.

Tra le lenzuola


Prima o poi – e rido già – con la mia amica ne parlerò,
per deridere i maschi, tra di noi, e divertirci un po’.
Quando sarò magari brilla e lei pure avrà bevuto,
oh, sì, commenteremo d’ogni volta l’accaduto.

Ci diremo del bel tipo tutto finto rispetto
che poi ti assale e ti si butta addosso sopra il letto.
Par che di donne non ne abbia visto prima:
pasticcia molto e va di fretta, non crea il clima.
Con tante buone intenzioni si dà un gran daffare.
Poi si scusa: ha già concluso. E io ancor lì, ad aspettare.

Ci racconteremo del bravo e zelante perfettino:
dice che sa del punto gi, ma poi lo cerca fino al mattino.
Dei preliminari è un tecnico perfetto:
ha letto il manuale. Peccato però che non ti dia alcun diletto.
Lui sa ogni posa, mossa e contromossa:
ti manipola una notte intera, ma mai provi una scossa.

Non trascureremo di narrar dell’insicuro
che ti sfinisce per saper se davvero t’è piaciuto di sicuro.
E ancora ti domanda se non hai finto,
se è stato bravo e il primo posto ha vinto.
Già sai che lo molli e lo terrai distante,
e lui ancor lì a domandare se l’altro era più prestante.

Certo ce la spasseremo a commentare il trasgressivo,
quello che usa panna montata e lacci in modo creativo.
Vuol farlo in modo sempre più strano:
sul tetto d’un treno in corsa o sotto il divano.
Tra attrezzi vari, corde e pose strane, devi diventar contorsionista.
Luci sfumate e tanti specchi, per deliziar la vista.

Non dimenticheremo di certo il frettoloso,
primatista del tempo nell’atto amoroso.
Arriva da te, tutto pimpante, allegro e contento,
dura un istante, si sbriga in un momento.
Trattarlo male? Te lo stai chiedendo,
ma come fare se lui sta già dormendo?

Oh oh, dovremo dirci dell’artista che non trascura niente:
candele, ceri e incensi per far della stanza una camera ardente.
Stai lì, cosparsa di fragole e di biondo spumante,
lui par non abbia le mani: ti bacia gli occhi, istante dopo istante.
Passa poi ai cubetti di ghiaccio, e un brivido tu provi: di gelido spartano.
Ora lo so: se ha quello sguardo strano e la panna in mano, devo fuggir lontano.

Verrà il momento di parlar del ginnasta narcisista,
quello che sfodera un fisico atletico come se fosse in pista.
Cambia mille posizioni per mostrar gli addominali
e si prolunga in prestazioni tutte artificiali.
Quando sei esausta e stanca, gli puoi dir, con una certa voce, che è stupendo:
ecco, non resiste e s’abbandona, in un istante, da solo assai godendo.

Tra tante risa, ci sarà un momento deprimente:
quando diremo del pigro nullafacente.
Fermo come un tronco sta lì disteso:
devi far tutto tu, questo è inteso.
Fissa il soffitto senza espressione e sta di sotto.
Alla fine un vago movimento delle labbra: segno che è arrivato, di botto.

E dato che il discorso ha preso quella china
menzioneremo l’umanoide che nella ruvidezza rovina.
Qualcuno, chissà chi mai, gli ha insegnato che alle donne piace:
strappare gli abiti e lacerar la biancheria. E lui lo fa ,vorace.
Pare un selvaggio brutale, uscito dalla foresta.
Mollarlo e mollarlo presto: solo questo ti resta.

Sì, sì, ne parlerò con la mia amica, magari quando noi saremo brille.
Rideremo e ci divertiremo un po’, ce ne racconteremo mille.
Ma quando la sbronza si farà triste sul finire, questo sarà il commento:
gli uomini fan l’amore con se stessi. Usando noi, come strumento.

Visuali opposte


Se ho scelto lui per far l’amore, certo ci sarà stata una ragione:
volevo esplorarla e capirla, sondarne l’emozione.
Per lui è stato stupendo, ma non ci sarà più altra volta:
lui è primordiale, e le femmine son tante, l’inseminazione molta.
Per me, illusa, era l’inizio; per lui, il fine e la fine, uno sfizio.

Far l’amore è un discorso lungo, è narrativa.
Uomo e donna da soli non bastano davvero, occorre una storia viva.
Ma, per lui, maschio e femmina son più che sufficienti:
andare al sodo, senza far tanti complimenti.
Eppur sapevi, già da scolara, che la ginnastica non è letteratura, mia cara.

Impossibile, si sa, che un uomo si tiri indietro sul più bello:
Io lo so, e mi godo il brivido di non fargli capire se accadrà quello.
Interrompere, per lui, è però la cosa peggiore, è terrorizzato dall’eventualità:
sarà frustato se di cogliere l’occasione non avrà possibilità.
Per me è eccitante l’attesa, per lui furiosa la resa.

Sono dotata di sensualità diffusa,
mi piace essere accarezzata tutta, nessuna zona esclusa.
Lui mente, se dice che gli piace esser toccato altrove:
ha tutto concentrato, poverino, e si sa dove.
Io son già globalizzata, lui è ancora un periferico dell’era passata.

Dei preliminari lunghi son grande estimatrice:
son necessari, e più durano più son felice.
Per lui hanno una doppia controindicazione:
prolunga l’incertezza e aumenta il rischio di non arrivar a conclusione.
Ecco la differenza tra il femminile obbligato e il maschile vietato.

Mi piace farlo ad ora tarda, dopo una serata in cui lui s’è mostrato assai carino.
Sarà questione di ritrosia o forse il buio cela la cellulite anche da vicino.
A lui piace invece di mattino, è un’esigenza del suo risveglio.
Non si tratta d’amore, ma di farlo e poi sentirsi meglio.
Ci divide anche il fuso orario: siam pianeti diversi in questo planetario.

E’ innegabile: acquistare un nuovo completino stuzzica la mente,
la mia propensione al sesso cresce notevolmente.
Lui apprezza, tutto contento, ma già suda a disagio e viene meno:
come diavolo si aprirà quel maledetto gancetto del nuovo reggiseno?
Per me la biancheria è stuzzicante, per lui una prova che lo aspetta insidiante.

Generose e altruiste, a noi piace ricevere ma anche dare,
accogliamo volentieri e diamo senza nulla risparmiare.
Far le cose insieme non è dote maschile,
a lui piace essere al centro con una donna servile.
Sarebbe bello baciarsi vicendevolmente, ma lui vuol esserlo dove ha in mente.

So essere, io, duo e trio e multipla, se lui ci sa fare.
Il piacere non si deve limitare.
Lui è mono, poveretto.
Non ce la fa, e poi non proverebbe più diletto.
Io vorrei un altro aperitivo, ma lui è già al digestivo.

Prediligo il ritmo lento e rilassato: se si va piano forse lui arriva lontano.
Ma vorrei poi anche il movimento veloce, da apprezzar man mano.
Lui deve controllar la resistenza:
se va in fretta è segno che cede per la sofferta continenza.
Movimento lento e circolare per me, per lui gran spinte e l’affondare.

Dopo l’amore mi piace chiacchierare ed esser coccolata:
non son capricci, ho bisogno di conferme, di saper che sono amata.
Lui precipita invece in un mondo tutto suo e assai chiuso.
Se va bene dorme, se no va via: ha concluso.
Parlare, partecipare? Che fare se cercava solo quello e ora si vuol estraniare?

A volte penso come sia possibile accettare e accogliere costoro.
Forse ha ragione la mia amica diletta, nella sua conclusione:
Altri sessi non ce ne sono: ci toccano i maschi, proprio loro.

Pagina di diario


Era mattina, al primo albeggiare, quando mi svegliai.
Era mattina. La mattina dopo.
Immobile – d’un tratto desta – mi domandavo chi fosse mai,
lui girato di là, la sua schiena nuda davanti a me.
E io, io, chi ero mai?

Era stato così per anni e anni, sin dai miei quasi vent’anni.
Un incontro furtivo, uno sguardo di complicità,
un brivido a fior di pelle, poi l’intimità.
Eran notti di piacere.
Notti senza nessuna vera essenza:
uomo maturo o giovane timido per il suo timore
o il ragazzo della mia amica del cuore,
non faceva differenza.
Importante era avere un uomo per me,
per una notte almeno, senza ma e senza se.
Ero birichina, o farfallina. O, forse, solo ragazzina.
La felicità mi toccava di diritto:
dopo il primo amore deludente,
un amante migliore sarebbe stato un bravo esploratore
della mia intimità.
Sarei stata una donna vera, almeno per una sera.
In verità, ero io che corteggiavo:
nell’insicurezza e nella mia vivacità mai ferma,
cercavo – anche nell’uomo di passaggio – una conferma.
Per sentirmi più bella e più desiderata,
per lasciar in tutti gli uomini incontrati
una traccia di me – anche in quelli di una serata.
Per lasciar loro un marchio mio, un segno indelebile anche dal loro oblio.
Persa nelle loro voci, le assaporavo al buio, con gli occhi chiusi.
Stordita dai complimenti sotto le lenzuola,
gemevo poi dei gemiti proibiti.
Nell’incertezza, volevo andar più oltre,
cercar seduzioni più forti e piaceri più intensi da gustar sotto una coltre.

Quella mattina, sveglia d’un tratto, fu la consapevolezza.
Lui girato di là, la sua schiena nuda davanti a me, così estranea.
E io, io, chi ero mai?

Oggi sto scoprendo, giorno per giorno,
una femminilità mia.
Più intensa.
Più profonda.
E più ricca.
Più ricca di tante sfumature.

Evocazione


E’ accaduto tutto all’improvviso.
E’ cominciato tutto con un profumo, improvvisamente.

In una solitaria passeggiata pomeridiana,
mi coglie l’odore d’erba cresciuta in vecchi muri di pietra.
Un attimo.
E i pensieri sono già in libertà:
emozioni e sensazioni,
ricordi improvvisi e intensi, evocati.

Riemerge vivida e presente
la scena di un capanno tra i campi già biondi e maturi per la mietitura.
Riemerge la frescura
tra quei muri odorosi d’erba.
Riemerge il silenzio di campagna assolata.
E noi.

Noi nell’effusione d’amore.
E tu.

Tu così intima e vicina.
E il profumo di te.
Che più non mi dà tregua.

Perchè no?


Mi piaci. Immensamente.
Ma non ti decidi. Io son pensierosa, ho sempre te nella mia mente.
Non so se aspettare una tua mossa
o prendere l’iniziativa e darti una scossa.

Sei forse un po’ timido, ma io provo per te una irresistibile attrazione.
E se vincessi l’imbarazzo e mi facessi intraprendente per crear l’occasione?
La nostra millenaria tradizione ci ha abituate alla dissimulazione,
ma con te vorrei metter da parte finti rossori e occhiate furtive di convenzione.
Mi spiacerebbe però se mi scambiassi per leggera e fosse poi questa la tua convinzione.

E se facessi un gesto io?
Osare o non osare?
Alla fine qualcosa mi dovrò inventare:
sarà un creare una situazione
in cui d’aver preso tu l’iniziativa avrai poi l’impressione.
E’ l’ape che va al fiore,
ma non sa l’ape che è stato il fiore
ad attirarla, col suo profumo e il suo colore.

Piccoli amori


Sin da ragazzina ho sempre avuto qualcuno.
No, non sempre lo stesso: più d’uno.
Quando la storia si trascinava e mi sentivo stanca,
ero in attesa di un nuovo amore, quello che manca.
E se il tipo giusto si presentava,
a quell’amore ci saltavo dentro, e tutto ricominciava.
Critiche le mie amiche: mi dicevan che dovevo provare a stare sola dopo un andamento stanco,
mi dicevan che dovevo riprender fiato e non aver sempre bisogno di un uomo al fianco.
Ma in coppia io ci stavo bene:
come immaginare una cosa diversa senza provar delle pene?

L’ultima volta, però, mentre mi trascinavo in attesa del nuovo amore,
fui anticipata: mi lasciò lui, e fu il panico nello stupore.
Tutto mi pesava, era il vuoto senza appigli, ero sgomenta, avevo paura:
io senza accompagnatore, senza chi di me si prendesse cura.
Poi, pian piano, ho scoperto che ce la potevo fare.
Era un lusso aver tanto tempo per me e agli interessi miei potermi dedicare.
Libera e autonoma per la prima volta,
avrei difeso la raggiunta indipendenza, stavolta.

Lui entrò nella mia vita alcuni mesi dopo, sbocciato come un fiore.
Un paio d’incontri soltanto e facemmo subito l’amore.
Da allora non ci sono domande, non ci sono richieste:
nessuna regola, le circostanze son queste.
Abita lontano, ci vediamo quando possiamo.
Nel letto giochiamo, ci divertiamo, ridiamo.
Mi dice che gli piaccio e poi lui mi accarezza.
Dei problemi nostri non ne parliamo: è una stranezza?
Forse è una storia leggera, non so, ma sinceramente non m’importa.
Quello che voglio è godermi questo presente, per una volta, anche se di questa sorta.

venerdì 25 gennaio 2008

L'attimo in cui


Quando è accaduto?
Qual è l’istante esatto in cui,
io donna saggia, iniziai a tradirlo?

Fu forse al primo sguardo?
O fu al primo batticuore?
Forse fu quando m’accorsi che pensavo a lui.
O quando già lo sentivo in me, nei miei pensieri,
e invano cercavo di cacciarlo fuori.
Forse quel momento accadde al primo incontro clandestino.
O alla prima bugia che gli dissi per veder l’altro.
Di certo accadde poi, quando tradii davvero.

Ma forse accadde nell’attimo in cui
qualcosa mi venne a mancare,
nell’istante in cui avrei voluto lui diverso,
nel momento in cui non seppe darmi quel poco che allora bastava.
L’altro neppure c’era,
ancor non c’era il suo sguardo che mi fece sussultare dentro.
Qualcosa mancò e creò l’attesa.
Fu quello l’attimo?
O forse fu quando mi sentii viva con l’altro,
nell’intimità e nella complicità e perfino nei progetti?

Quando accadde? Quale fu l’istante esatto?
Tra emozioni e sentimenti, non so.
Ma certo so – questo sì - il momento in cui
la mia storia d’amore di prima
iniziava a finire.

Più donna


Ricerco la ragazzina che ero:
non ancora donna, lo sguardo già innamorato
e perso ad inseguire il volo dei gabbiani
su quel mare che mi parlava di lui.

Poi fui donna, donna con lui.

Passati gli anni, non so quando e perché accadde:
non so cosa fu né perché lo permisi.
Fu forse il mondo cambiato, non so.
Mi ritrovai a dover essere più donna:
più bella, più giovane, più prestante, più disponibile, più presente.
E più stanca.
Abilissima giocoliera per poter comporre mille impegni e doveri
con la seduttività e la femminilità,
dietro l’apparenza del trucco perfetto.
Sempre più pronta, più generosa, più all’altezza. Più donna.
E più stanca, tanto più stanca.

E’ giunto ora il tempo dei miei no.
Più perfetta, no.
Più impegnata, no.
Più arrendevole, no.
No, più donna, no.

Voglio esser donna solamente, e non più donna.
E ritrovar me stessa.
E ritrovare il mio tempo:
per me e per amare e – perché no? – per far l’amore.
Donna più, mai più.
Allora sì, sarò più donna.

Danza


Mi prende la dilagante voglia di fisicità
e, contagiata, la esprimo tutta nella vitalità
del ballo ritmato, che ho sempre amato.

E’ il bisogno di cambiare
e, in modo diverso, me stessa raccontare,
per dir nel movimento quello che sento.

Sciolgo la rigidità, se al ritmo io mi muovo,
e in quella nuova libertà io mi rinnovo.
Scrollo i tabù per trovarmi con me stessa a tu per tu.

Entrando in pista mi calo in nuovi ruoli
e presto pensieri e corpo danzano da soli,
dando espressione alla mia emozione.

Quando poi ballo con uno che non conosco
scopro a me stessa e all’altro qualcosa di me che è nascosto,
e c’è della sensualità in quel muoversi con un po’ di voluttà.

Già da bimba amavo il ballo: la danza classica era il mio mondo.
Era forse il desiderio di volare per esser me stessa fino in fondo.
Era di cielo l’attrazione, la voglia d’elevazione.
Il corpo quasi spirituale in una dimensione tutta musicale.
Girare e saltare, librarsi e trascendersi,
per vincere i limiti fisici della costrizione, verso la perfezione.

Venne poi la danza del ventre: la fierezza del mio corpo mi stupiva.
Fianchi ondeggianti, ben in vista l’ombelico, solo un vel che mi copriva.
Muovere i seni sensualmente fu dapprima imbarazzante.
Trasformatami poi in beduina, celebravo la mia femminilità genuina.
Muoversi e ritmarsi, ondulare e lasciarsi andare.
Le donne che in me nascondevo, languide o rabbiose o seduttive le esprimevo.

Ho saputo giocar col tango, duellando nel ballo come nell’amore,
per ricercar l’abbraccio e la sua emozione, conturbante come un fiore.
Corteggiamenti e rifiuti, conquiste e tradimenti.
Uomo e donna che si cercano e mai serenamente s’incontrano.
Intriganti come amanti, tra elezione e dannazione.
Una messa in scena di passione e d’arroganza è l’emozione di quella danza.

Ma è nel salsa che vivo il brivido più emozionante,
senza sensi di colpa, perché è solo un ballo e io son danzante.
Mimando i corteggiamenti, si fingono gli amoreggiamenti.
Libera dalle inibizioni, do spazio alle pulsioni.
Stuzzicante e seducente, son seduttrice e ammaliatrice.
Non più passiva, i miei istinti mi rendon viva.

Impazzita


Per la prima volta lo vidi una sera,
a casa della mia amica più vera.
Immerse nelle pagine dei compiti di scuola,
ridevamo, scherzando: lo studio soltanto ti fa sentire sola.
Di lui sapevo che era un po’ incosciente e separato,
lui padre della mia amica, maturo e navigato.
Di lui sapevo che era strano,
che sua moglie era fuggita lontano.
La mia amica ne parlava con affetto:
ero curiosa di conoscerlo, lo ammetto.
Così lo vidi quella sera e ne rimasi folgorata:
occhi intriganti, sbarazzino l’aspetto, divertente la risata.
Una battuta e se ne andò, lasciandoci a studiare.
Io ferma lì, incantata, il vuoto a fissare.
Sondai il terreno: donne ne avrà, è affascinante.
Troppo stupita la mia amica: cambiai discorso in un istante.
Ma quell’incontro, sì, mi rimase nel cuore.
E tutto confessai ad un’altra amica mia, senza timore.
Mi disse ch’ero matta e lui un vecchio.
Ma io continuai a fantasticare, e parecchio.
E un giorno lo ritrovo all’uscita dalla scuola:
un complimento per la mia maglietta blu. E la mia fantasia ancor più vola.
Tramortita, davvero, per l’emozione, negli affanni:
io completamente fusa, con i miei sedici anni.
Da quel giorno sempre in blu, con mia madre preoccupata
nel vedermi sempre più imbambolata.
E i pomeriggi, proprio tutti, a studiar dalla mia amica,
inventando che con mia madre, a casa mia, non si poteva mica.
Ogni tanto lui passava, un po’ di fretta.
Gentile, sì, ma trattandomi come una bimbetta:
nulla più che un’amica della figlia, una ragazza.
Spazientita, volli aggiustarlo io, facendo una cosa pazza.
Un pomeriggio in cui la mia amica non c’era
mi presento da lui a palesar la mia intenzione vera.
Molto scollata la maglietta blu, cortissima la gonna,
rubate a mia madre le scarpe coi tacchi alti, da donna,
raccolti i capelli, vistosamente truccata:
ecco, fu questa la mia folle trovata.
Viene ad aprire, rimanendo con un palmo di naso.
Mi riconosce a stento. Ma stavo andando forse ad una festa, per caso?
Sua figlia non c’è e non lo sa se viene.
E io, decisa, dico che lo so e lo so bene.
Son lì per lui, ma non potrei entrare?
Ho bisogno proprio con lui di parlare.
Condotta dentro, da dove iniziare? Non lo so, sinceramente.
Decido allora di parlar liberamente.
Li trovo insulsi e vuoti i miei compagni, per la loro immaturità:
non penso che a lui, ecco la pura verità.
E’ stupito. Mi ferma. Sto troppo correndo.
Forse è turbato, di certo, e lo comprendo.
Lo guardo negli occhi e, no, non è turbamento.
E’ rimprovero, lo capisco in un momento.
Sta lì e mi guarda, e sembra guardar la figlia:
io vorrei scomparire lontano mille miglia.
Dice che gioco a far la donna e son ragazza appena,
fa il brusco apposta, dice che gli faccio pena.
Con gli occhi pieni di lacrime scappo via.
Oltre non voglio ascoltare, voglio tornar di corsa a casa mia.

Nessuno, per fortuna, l’ha saputo mai.
Or mi vergogno, disamorata ormai.
Furon parole dure che han scavato nel profondo.
Pur malati, sembra che mai si tocchi il fondo.
Ma tutto passa, passa tutto a questo mondo.

Caotica


Vorrei equilibrio, vorrei serenità.
Dalla vita ho accolto tutto, il bello e il brutto:
per farne forse esperienza e render più forte la mia vitalità.

Vorrei la pace, vorrei tranquillità.
Pur se son donna decisa, so sognare e so star tra le risa.
Decisa, invero, non lo sono fino in profondità.

Vivo d’eccessi, tra ozio e grandi attività.
Sia nel cibo che nel sesso io mi rifugio spesso.
Passo da un uomo all’altro, tutto nella vanità.

Son confusa, a volte ho ribrezzo della mia stessa distruttività.
Mai trovato l’uomo giusto: forse solo nello star sola troverei gusto.
O forse è solo il vivere, la mia priorità.

Eppur sto sempre male, nella mia viltà.
Se un rimorso è meglio del rimpianto, perché raccolgo solo pianto?
Vorrei equilibrio, vorrei serenità.

Credevo d’esser libera, d’esser moderna.
E invece sono schiava del capriccio del momento.
Senza una meta si procede a vista,
senza una guida la via è persa.
Compagni di strada – oh, sì -, tanti.
Le notti sempre in compagnia.
Ma è al mattino che ci si risveglia.
Ed è al mattino che mi risveglio anch’io.
Sola.

L'ultima fiammata


Fa ancora freddo, la sera,
in questa tardiva primavera
che è tutto un fiorire silenzioso e improvviso.

Qui, rannicchiata davanti al camino,
le maniche che scendono fino a coprir le mani,
non mi scalda questo fuoco fuori stagione:
pochi legni accesi, che si consumano, senza ardore.

D’un tratto, un caldo arriva:
è una fiammata, inaspettata, che divampa decisa.
Pare un fuoco vero, ma già non dura.
Mi scalda per un momento,
prima dello spegnimento, ormai senza alimento.

E fa di nuovo freddo in questa sera,
nel rimpianto e nel risentimento.
Eri tu il mio fuoco accesso,
sei tu il mio fuoco spento.
Pochi erano i legni: sentimenti consumati, senza ardore.
Scintille e liti, scenate e scottature,
nodosi conflitti soffocati in fumosi malumori,
emozioni spente nella pigra monotonia dei giorni.

Stanca d’attizzare un fuoco che non prende,
ti dissi basta, e fu il mio abbandono.
Ed ecco, improvviso, il tuo stupore
- o la tua paura -, non so.
Fu certo molto strano quel momento:
cessati i crepitii d’uno stentoreo fuoco esitante,
divampò come una fiammata il tuo desiderio di me.
Sprigionava la passione intensa
che mi coinvolgeva nella tua brama improvvisa
e focosa, focosa come non mai.
Avrei voluto sottrarmi, sì,
ma ho ceduto all’assalto del tuo inaspettato ardore,
all’incendio appiccato ai miei sensi,
trascinata in focolai di passione,
travolta nelle fiamme del desiderio ardente.
Fu anche, forse, la strana eccitazione d’una nuova libertà:
trasgredire, e trasgredire proprio con te
da cui ormai ero divisa.
Fu forse il brivido di osare,
affrancata ormai dalla fedeltà,
ritrovandoti nuovo ed estraneo.

Ma a mente fredda, dopo,
il fuoco era ancora spento.
Estinta anche quell’ultima fiammata.

E sono rannicchiata, qui, davanti al camino freddo,
in questa sera ancor troppo fresca.
Domani continuerà a fiorire la primavera tardiva,
esuberante e silenziosa,
maturando in un’estate che poi appassirà.
Rannicchiata qui,
le maniche scese fino a coprir le mani,
ho lo sguardo vuoto sulle poche ceneri rimaste.
Consumate. E inconsistenti. Spente.
E fredde.

Deserto


Primi passi che affondano nella sabbia impalpabile, poi le dune.
Il cammino è lieve e leggero: inoltrarsi nel deserto, a conquistarlo.
Negli splendori abbaglianti tutto è dorato, caldo anche il silenzio.

Il paesaggio si fa vastità sabbiosa,
il passo pesante, a tratti perfino inebriante.
Conquistare il deserto?
E’ forse lui, il deserto, che si appropria di noi.

In quella solitudine in cui tutto tace, sembra che nulla accada.
Luogo senza confini in cui si toccano i confini:
di se stessi, dei propri limiti, della sete e della calura, della vita.

E poi la notte immensa e buia, così limpida e stellata, così calma e fredda.
Esser pervasi da uno strano senso di sicurezza e intimità,
con la sensazione di stupore e di timore insieme.

Spazio sconfinato in cui tutto par fermo.
In quel silenzio pare ancor che nulla accada.
Eppure accade il tempo: l’infinito e l’eterno.

Accade anche che una tacita e invisibile Presenza sussurri senza voce:
E’ nel deserto che incontrerò il tuo cuore.

Test


E’ ormai cosa decisa: in questo pomeriggio un po’ vuoto
mi dedicherò ad una lettura impegnata, di psicologia.
Ho trovato un testo interessante che non mi era noto.
Cercherò, nella classificazione delle varie donne, la mia tipologia.
I tipi son nove, e io curiosa mi metterò subito in moto.
Alla fine forse saprò come son fatta io e qual è la diagnosi mia.

Oh, ecco di già una bella tipa: è la splendente.
Volitiva e invincibile, non bada alle emozioni proprio per niente.
Diffonde luminosità, lei ama guardare ed esser vista.
Lavora sodo, ferma è la volontà, lei è ottimista.
Basta però dirle che è brava e che è bella,
e anche un rozzo sa raggirarla, quella.
Proietta la sua fervida immaginazione
e come l’acqua per la pianta è per lei la gratificazione.
Questa è come una mia amica, quella freddina,
che a guardar vetrine può passare una intera mattina.

Eccoci alla seconda tipa: la perfettina.
Sola al comando, organizza la vita della gente che le sta vicina.
La mania di perfezione sta sempre nella sua mente:
senza di lei non funzionerebbe mai niente.
Se la contraddici, scateni la guerra o un’esplosione,
così gliela fan dietro, fingendo di darle ragione.
In verità, lei ha un gran bisogno d’affetto,
ma per farla sentire amata, solo l’obbedirle ha effetto.
Questa mi sa che è quella del quarto piano,
il cui marito è fuggito assai lontano.

Quest’altra che or viene mica mi piace: mi pare un tipo strano.
E’ la principessa, che si offende se non le fanno il baciamano.
Ricerca il meraviglioso ad ogni occasione,
vuole e pretende solo adorazione.
Lei è un’esteta raffinata,
odia le banalità, è molto ricercata.
Vuol sedurre e sedurre a non finire,
ma non sa che è per la scarsa stima di sé che ha da lenire.
Mi par di veder la mia collega orgogliosa.
Fa tutto da sola, senza umiltà, spesso è pietosa.

Eccone un’altra, quella dalle agitazioni a iosa.
Patisce turbolenze emotive, le manca sempre qualcosa.
Lei è la drammatica. Di certo movimenta la vita,
ma con lei non c’è pace e non è mai finita.
Eppure soffre e soffre tanto, nel suo lamento,
ma lo fa per stare su un palcoscenico mai spento.
Vuol essere ammirata negli alti e bassi delle sue emozioni,
così che gli spettatori le tributino applausi ed ovazioni.
Questa è la mia portinaia, davvero, quell’invidiosa, è lei spiccicata.
Non fai a tempo ad incrociarla che già si è lamentata.

Ma son tutte così? Finora, neppure una se n’è salvata.
E’ ora il turno dell’analitica: qui si entra in zona vietata.
Un suo mondo lo ha, eccome, ma non si vede mai.
Accumula e rimugina, non condividendo con nessuno, giammai.
Più che riservata, è un forziere blindato e chiuso.
E’ silenziosa e non si fida mai di qualcuno, nessuno escluso.
Si scatena poi nel sesso, è una gran conquistatrice, ma per nulla seduttiva:
lei salta addosso e poi libera la sua immaginazione, assai viva.
Oddio, che sia così anche quella bibliotecaria insulsa?
A quell’acqua cheta, sotto sotto, chissà cosa le pulsa.

La dominatrice è una tipa che non si sente mai convulsa.
Lei è tutta d’un pezzo, non ha mai una ripulsa.
Ignora la sua fragilità ed è sempre serena.
A lei non la si fa: ogni torto lo ripaga subito e di gran lena.
Se perde una battaglia, non si piange addosso,
vuol la rivincita e mai molla l’osso.
Gioca per vincere, pur se si spaccia per innocente,
ma statene certi: non fa niente per niente.
Ma guarda, qui si parla di quella carognetta di mia cognata,
tipa tosta, davvero, non faccio l’esagerata.

Meglio passare alla mediatrice, una donna pacificata.
Son curiosa di scoprir cosa questa si è inventata.
Par la pace fatta persona, lei è specialista dell’armottizzamento.
In realtà ha una gran paura di creare conflitti e perdere di apprezzamento.
Ma senti… è donna d’azione che punta al potere, questa paciosa.
Pigra spiritualmente, si occupa di quel che capita, la patuffolosa.
Questa controlla tutto, mi par una prezzemolina.
Vuol far la pace con tutti per essere più amata, povera la mia morbidina.
Pare la mia compagna di banco, quella che avevo a scuola.
Portata alla malinconia e disponibile con tutti, ma rimase sola.

Finalmente l’ottava meraviglia: questa sarà una che vola?
Par proprio di sì: lei è la ballerina, quella che sorvola.
Dell’evitare è specialista,
lei è sognatrice e trasformista.
Affascinata dalla sua stessa immaginazione,
è una furbetta che infine svicola imboccando una deviazione.
Senti, senti: è pur gran godereccia e ama tanto il sesso.
Autoindulgente, pecca di gola e cerca l’amplesso.
Ma questa è la zoccola che ha abbindolato mio marito!
Buon per me che se ne sia andato. Di certo avrà poi trovato il suo benservito.

Ce n’è un’altra e poi è finito.
Chissà se questa sarà quella buona, un mito.
E’ la prudentissima, preoccupata di quello che potrebbe capitare.
La devi sempre sostenere, la devi rassicurare.
Una responsabile, certo, ma troppo timorosa.
E’ impegnata a prevenire i pericoli dettati dalla sua mente fantasiosa.
Questa è come la mia amica cara, che sempre vuol sapere se le voglio bene.
Lei ha paura della paura, son queste le sue pene.

Che dire? Non mi ritrovo in nessuna.
Che io sia troppo normale?
Ho il mio caratterino, è vero, ma mica cerco la luna.
Qua e là ho colto aspetti di me che non son proprio così male.
Ma qualcuna che m’assomigli, no, non ce n’è una.
Forse è proprio questo l’esisto del test: io son speciale.

Era la mia amica


Mi fa tanto, tanto male.
Eravamo inseparabili, e lei era speciale.
Eppur mi ha sorpresa.

L’amicizia forse s’è rotta gradualmente,
s’è spenta a poco a poco, scivolando pian piano nel niente.
Gli incontri rarefatti,
quel parlar poi vagamente dei fatti,
senza più approfondire.
Eppur c’era intima confidenza.
Non lo so se fu per colpa di quel litigio improvviso:
le urla e le lacrime celavano forse antiche incomprensioni.
D’un tratto il rapporto non fu più vivo,
svanito in tristi e amare sensazioni.
Eppure era così unico, così esclusivo.

Rimane or la delusione,
finanche il dubbio d’aver sbagliato in qualche occasione.
Rimane l’imbarazzo d’essermi svelata nell’intimità,
la rabbia che il torto subito mi dà,
la sensazione sgradita d’esser stata tradita.

Protagonista della mia vita, io vibrante e viva,
affidavo a lei desideri, bisogni e aspettativa.
L’alleanza doveva esser per sempre,
le conferme dovevano venire in continuazione,
ma ora c’è solo lo sconcerto e la disperazione.

E ci penso e ci ripenso,
rimugino e rimugino.
Ho perso una parte di me.
Non so se la riavrò, non so come e non so se.

Lei è cambiata, e non la riconosco.
O forse ero io a non veder il suo lato nascosto.
Mi rispecchiavo in lei, mi sentivo sicura:
chissà che non ne facessi solo la mia controfigura.
Ora vedo sgretolarsi la sua immagine, la sua figura.
Lo so, ognuna ha il suo lato oscuro e misterioso,
ancorato alla propria intimità e difficilmente condiviso,
ma è lo stesso doloroso questo rapporto reciso.

Un pizzico di competizione, tra donne, è naturale,
ma forse fu per invidia che lei divenne mia rivale.
Ultimamente mi faceva davvero star male:
parlare con lei che mi conosce così bene,
fingendo che tutto fosse normale,
era angoscioso, mi procurava fitte pene.

M’aspettavo fedeltà e sincerità.
E ora incolpo solo me stessa.
Per la mia ingenuità.

Piccole grandi gioie


Felicità è forse per me parola troppo grande.
Cosa, alla fine, possa rendermi contenta, non so.
Devo pensarci, rifletterci un po’.
Al mondo ci son talmente tante pene
che non so cosa mi faccia star davvero bene.

Prìncipi e castelli eran sogni fiabeschi di un futuro avvenire.
Oltrepassata la china, che rimane del passato e della vita che va a finire?
Ricerco allora in me, in un gesto o in un momento,
ciò che mi dà serenità e appagamento.

E’ curioso come emergano ricordi vivi
quando la mente evoca vissuti che credevi dimenticati:
son di nuovo qui, presenti e intatti, e tu li rivivi,
ripescati nella memoria e nei suoi anfratti.

Già da bambina amavo passeggiar nel bosco,
toccare erbe e piante, annusare odori boschivi,
ascoltare rumori e suoni di selva,
perfino accarezzare e abbracciare un tronco.
Ancor oggi – e sorrido – sento a volte il bisogno
di lasciar tutto per attraversare un bosco,
per calpestare l’erba e respirarne l’odore forte.
In quel silenzio, in quella quiete odorosa e a tratti scura,
ritrovo il mio albero segreto: lo abbraccio, mi fa sentir sicura.
Non so se sia il bosco dell’infanzia, non so.
Forse è quell’albero, solo mio, che cresce silenzioso insieme a me.
Un po’ ruvido, ma così caldo e così vivo.
Tace, sapiente.
Ma partecipa – lo sento.
Partecipa con me.

Patologia


Disperatamente. L’ho amato disperatamente.
Per lui ho fatto follie, ho disfatto la vita di chi mi stava accanto.
Oggi dovrei provar vergogna, oggi che mi rimane solo il pianto.

La storia con lui era struggente.
Amore e rabbia.
E ho sempre perso io.
Lacrime amare, versate tutte, nelle notti insonni.
Lasciarlo no, non potevo: lo amavo.
E poi che mi restava?
Lui mi umiliava e maltrattava.
E ogni volta ho voluto riprovarci,
per cadere sempre più in basso,
me dannata.
Sempre più perplesse le mie amiche,
ma sorda e cieca io.
Testarda io nel voler rimanere con lui
che m’ha distrutta.

Dovevo saperlo, e un po’ lo sospettavo,
che non era per me,
in verità per nessuna.
Ma son rimasta attaccata a quel pensiero distruttore,
non mi staccavo dall’intreccio d’amore e di dolore.
Ogni giorno ho combattuto col terrore d’esser abbandonata.
L’amore è sofferenza: ero innamorata.
Amore e rabbia: vertigine di emozioni, così forti.
Da me ha tirato fuori il peggio.
E son legata a lui anche a distanza.

Lo so.
Mi porto dietro sin dall’infanzia un modo d’amare
intrecciato al dolore.
Fu forse perché mio padre abbandonò me e mia madre.
Per me amare voleva dir soffrire:
fitte fisiche che mi han tolto perfino la salute,
lottare ogni giorno con la paura d’essere lasciata,
lo spasimo continuo per essere notata.
Può essere questo che ha fatto sì
che mi sentissi innamorata solo e soltanto con un balordo così?
I suoi tira e molla e il suo trattarmi male
mi han permesso forse di rivivere il copione.

Son malata, se ancora lo penso e non l’ho dimenticato,
se credo a volte che potrei con lui ricominciare.
Son malata, se mi sento ancor legata a lui.

Son malata e lo son davvero,
se anche ora che sono a distanza e, libera da lui, mi sento sicura,
ho nostalgia
e non rinuncio alla romantica illusione
d’aver vissuto con lui una storia ineguagliabile, nella di lui prigione.

Rosa


Sei tu la mia passione,
tu che sei passione nella tua morbida carnosità.
Sei tu il mio amore,
tu che difendi l’amore con le tue femminili unghie di spine.
Sei tu il mio sogno,
tu che fai sognare nel tuo abbraccio tenero di petali.

Sei tu, nei colori accesi della femminilità,
romantica e sensuale, arrendevole e scontrosa.
Sei tu nel rosso passionale,
nel rosato aggraziato e gentile,
nel superbo violaceo,
nella gelosia del giallo,
nella devozione del bianco.
Sei tu il mio fiore.

Sei tu,
nel tuo profumo inebriante e seducente,
tu irresistibile.

E io, chino su di te,
accolto fin sul bordo del tuo segreto,
preso nel tuo afrore,
tentato dai tuoi petali incurvati e molli di rugiada,
sedotto nello stupore,
gemo con te,
sopraffatto con te da un alito di vento che reca amore
e ci disvelerà,
fiorendo.

Brutta


Brutta, mi sentivo brutta.
Già da ragazza: indossavo un vestito e mi sentivo goffa.
Mi dicevano che avevo il corpo snello, ben modellato,
ma io mi guardavo allo specchio e decidevo di non uscire più,
anche se il taglio dei capelli mi donava al viso.
Provavo invidia per tutte le altre, ecco.

Ne ho poi capite di cose.
Giovanissima credevo d’aver poco seno e invidiavo le prosperose.
Ero tutta ricci e una coi capelli lisci credevo fosse privilegiata,
ma era solo la moda, che poi è cambiata.
Mi sentivo inadeguata, ma era solo perché non ero uniformata.
Da ragazzina volevo piacere a tutti, aver ammirazione incondizionata.
Era l’insicurezza, che anche da adulta un po’ mi ha accompagnata.

Ma ora ho te che sei la mia gratificazione.
Il tuo affetto, la tua cura, la tua attenzione
mi fan sentir sicura e bella, in una continua emozione.

A volte è anche questione d’umore:
nessun vestito fa sentire a proprio agio in quelle ore.
Ma mi basta poi il tuo sguardo pieno d’amore
per ritrovare il mio benessere interiore.
Allor mi sento bella, dentro e nell’esteriore.

domenica 20 gennaio 2008

Senza parole


Che volta, quella volta in cui sorse la parola!
Fu subito prolifica, moltiplicandosi di bocca in bocca.
Quando poi si confuse, si separò in una babele d’idiomi.
Un giorno però la parola volle elevarsi
- conscia del proprio prezioso valore.
E cercò labbra che non fossero sporche o blasfeme.

Si posò dapprima sulla bocca del poeta,
e si sentì tutta incantevole.
Osò di più, e finì sulla bocca del filosofo,
divenendo colta.
Ormai ebbra delle sue stesse capacità,
si fermò nel parlare del saggio:
divenne sapiente.

La parola desiderò allora essere semplice e spontanea:
furono gai e belli e coloriti i giorni sulla bocca dei bambini.
Volle infine esprimersi di più,
così scalò la vetta più alta,
posandosi sulle labbra di una donna:
la parola, sottovoce, si fece preghiera.

Ma come esprimersi ancor di più?
Altre vette non v’erano, più alte.

Ed ecco che incontrò Lei:
Colei che sapeva esprimere l’inesprimibile.
E la parola rimase senza parole,
davanti a Lei.
Lei che ha Musica per nome.

Come nasce un sentimento


Il mio animo è un gambo di rosa.
Tenace. E intoccabile: le spine respingono chi osa.
Eppure tenero. E vivo – per la linfa che vi scorre.
Le mie radici assorbono il buono
e lo rendon nutrimento.
E’ coltivato con la cura dell’amore, il mio roseto.
Potato dagli inutili rametti del capriccio,
cresce forte, dissetato da una pioggia che sa di cielo,
ristorato dalla rugiada del mattino che rinnova,
soleggiato dal sole che dà vita,
ombreggiato dalla calma che rasserena.
Rigogliose le mie foglie dei pensieri tremuli di vento.
Reggo il fiore vellutato di me stesso,
dei petali profumati di sublime,
ripiegati nel bocciolo del mio cuore,
semplici eppur superbi nel color cupo che mi esprime.

E’ in questa siepe ben curata
che lei – primaverile – si insinua lieve.
Ignora le spine, sale da dentro,
mi percorre piano.
Quasi nulla so di lei:
non l’ho veduta neppure in volto.
E mi trasforma dentro, mi percorre in fretta.
Sono ancor stupito, mentre lei è già in me.
E cresce dentro, mi percorre, già germoglia.
E si fa gemma.

L'isola


Dimmi, che isola vuoi?
La desideri oceanica, sconosciuta,
inesplorata, incantata?
O la vuoi magica,
con le onde e il vento per musica?
La preferisci forse come un Eden dei mari?
E di notte lo gradisci, dimmi,
un firmamento di stelle e galassie?
La vorresti, la tua isola, colorata di primavera
e odorosa dei profumi dell’estate?
Come la vuoi? Dimmelo.

Un’isola però c’è,
dentro di te.
Quando t’avvicini alla costa – ogni volta –
ritrovi gli stessi rischi, gli stessi pericoli.
Va conquistata di nuovo – ogni volta -,
se mai tu vi fossi già approdata.
Ti costerà fatica e tensione:
la costa è frastagliata.
Ai tuoi occhi si rivelerà
un panorama con fitti boschi.
Dovrai imparare a nuotare,
se non sai raggiungerla con un balzo.
E poi inerpicarti,
farti largo tra avvallamenti e vette.

Scoprirai, alla fine, un luogo pianeggiante.
E’ lì, che giace nascosto
il preziosissimo tesoro
che è in te.

Fiocchi di neve


Guardo stupito la prima neve.
Fiocchi che scendono…
…inarrestabili
come lacrime
che salgono agli occhi
e confondono.

Accanto a me
- lontano –
una bimba polacca
guarda incantata
altri fiocchi
- gli stessi fiocchi.
E sogna la sua vita.

Le mie lacrime gelano,
come fiocchi di neve.
E i suoi fiocchi brillano al sole.

Altri fiocchi scenderanno.
E le lacrime più non saliranno:
tu – ormai donna –
le terrai in te,
ghiacciate come fiocchi di neve
che gelano.

Lontano
- accanto a te –
un bimbo guarda rapito
altri fiocchi
- gli stessi fiocchi.
E, nel freddo,
rivede la vita
che sognava.

A fine marzo


Questo è un piccolo castello.
Lei riposa,
nella stanza accanto.
Fuori, un sole tiepido
riscalda i piccoli prati scoscesi
sui monti,
riscalda pini e castagni.

Questo è un piccolo castello,
e – fuori – tappeti di margherite
fremono lievi
nel silenzioso sussurro del vento.
Lei riposa serena.

Qui, in questo piccolo castello,
il tempo è sospeso,
e scorre piano e leggero.
Il canto dolce
degli uccellini
accompagna il suo riposo.

Io, qui, la sogno.
E non so se lei
che riposa
mi sogna.
Ma nel vasto mondo
che scorre nel tempo
lei è qui,
nella stanza accanto.
In questo piccolo castello.

sabato 12 gennaio 2008

Sola, e mi basto


Curo la mia casa e le mie cose:
ogni dettaglio è un ninnolo d’amore
che parla un intimo linguaggio come le rose.
Chi non comprende mi chiama zitella
e non sa che per me fa rima con cosa bella.
Sul comodino riposa il libro del momento
e nella sera è delizioso quel silenzio,
alla luce bassa e buona e calda del paralume non ancora spento.
Così dolce poi lo scivolar nel sonno,
tra le lenzuola profumate
e il carillon discreto con le sue note sempre più diradate.
Il mio cuore è contento,
dopo che un pensiero ho rivolto al firmamento,
e piacevole è la notte mia di sogno.
Il nuovo giorno ed io ci accogliamo alla luce dell’aurora.
Gusto con calma il rito della mia colazione:
ho una tazza tutta mia che è un amore,
e sulla tovaglietta ricamata mai manca un fiore.
Io sposarmi? Ho tutta me stessa, questo può bastarmi.
Nessun mistero o curiosità:
son bella e son serena, amici ne ho,
ma imprigionarmi, questo no.
Mia la mia casa, sol mie le mie cose.
I dettagli son ninnoli preziosi
che custodisco, intimi e amorosi.
Ogni risveglio è bello come un nuovo fiore.

E poi ritrovo la mia tazza.
Che è un amore.

Sacerdotessa


Scrivo a te con rabbia, per raccontarti la parte di storia che non sai.
Scrivo a te che non leggerai, per dirti la parte di storia che mai capirai.

Sai, ero donna giovane ma forte, quando ti incontrai.
Sembrava un grande amore, e così non fu, mai.
Eri possessivo e ogni spazio mi toglievi.
Non t’importava di me, ma di quel che la gente diceva, casomai.
E, chiusa in casa da troppo tempo ormai,
alla fine, sì, mi ribellai.

E conobbi lui, persona stupenda
nella sua tonaca nera.
Fu amicizia vera, poi me ne innamorai.
Innamorato lui pure, volli vivere questo amore,
e senza paure lo accettai.
Con lui mi son sentita viva
e ho fatto l’amore con una passione che non sai,
con un trasporto provato giammai.

Poi fu lo scandalo.
Quel ch’era mistico e segreto
fu scoperto alla luce del sole.
Come potevo sperare che il mondo capisse?
Era un mistero da custodire, noi soli.
E ora, più neppur ci parliamo:
lui tornato alla sua devozione,
nella sua tonaca, ora nera di lutto e punizione.

Ma, sai, la straordinarietà dell’amore, quella, la ho vissuta,
la passione intensa l’ho conosciuta.
E ho ritrovato la mia forza,
ho scoperto nel mio intimo di donna
la sacralità e la divinità della mia femminilità,
il misterioso dono della profusione,
il sacro fuoco del tempio dell’Amore, che mai si spegnerà.

Ora io veglio, veglio presso l’altare del desiderio sacro.
E’ irrinunciabile l’amore,
immanente e trascendente.
E custodisco, io vestale, l’intima mia fiaccola.

Un altro ancor verrà
e riaccenderla, lui, di nuovo saprà.
E sicuramente, no, tu non sarai.

Camera da letto


La mia oasi notturna è lontana da tutto:
pur così vicina, è lontana dal mondo.
E’ un tempio chiuso in cui regna la notte.
E’ luogo di riposo dell’anima e del corpo.
E’ spazio in cui ritrovo il tempo che sfugge alla temporalità.
E’ il dove in cui avvengono privatissimi appuntamenti:
con l’inconscio e con gli amori,
con le verità nascoste e i sentimenti.
E’ santuario d’emozioni,
di resistenze e d’abbandoni.
E’ porto da cui i sogni salpano l’ancora del reale,
e viaggiano lontani, rimanendo in porto.
E’ la baia nascosta a cui approda il termine del giorno.
E’ terra sacra di penombre e di silenzi,
di parole pensate e di pensieri parlati sottovoce.
E’ l’enclave dei giorni, il castello in cui ripara il quotidiano.
E’ il posto riposto dell’io nascosto.
E’ la dimensione segreta
in cui riscopro
che l’universo è buio.
Buio.
E con un firmamento così stellato. In quel buio.

Indovina cosa vorrei stasera...


L’idea mi gira in testa da un po’ di tempo.
E’ sorta stando con te distesa, nel far l’amore,
desiderando che tu sia più attento.

Non so, ecco, che tu ti muovessi in un certo modo.
Non so, ecco, che la posizione fosse più conturbante.
Non so, una maniera diversa e più eccitante.
Ma sì che lo so, e speravo tu capissi.
Mi aspettavo una certa cosa, ma tu facevi tutt’altro.

E’ per vergogna che non confesso le mie passioni,
nel timore che tu mi giudichi troppo disinibita.
Mi sento anche inadeguata, e diversa dalle altre che forse hanno un’altra vita,
e questo perché ho pensieri che tu, un uomo, non sai intuire.
Chissà se tante donne non dicono i desideri inconfessati.
Chissà se tanti uomini non sanno o non capiscono.

Vedi, vorrei – per cominciare – molto più lunghi i preliminari.
Carezze e poi carezze, senza che tu debba temere di sfiorare e coccolare,
dolcemente, l’intimo fiore e i suoi petali e la preziosa gemma.
Vorrei non confondessi poi la mia interruzione:
è per riprender poco dopo, per aumentar l’eccitazione.
Sbagli se credi che non voglia far l’amore e ti ritiri nel tuo furore.
Ma vorrei anche, a volte, un momento molto intenso e breve,
inaspettato, consumato sull’onda della improvvisa passione,
nel luogo qualsiasi che ci è capitato.

Vedi, vorrei.
Vorrei che tu intuissi.
Che tu intuissi.
Questo vorrei.

Messaggi allusivi


L’idea mi scattò in testa una sera, in un locale.
Non son meno bella della mia amica, e lei non è che sia più gioviale.
Eppure, uscite dopo aver gustato al bancone un affogato,
lei aveva in mano un nome col telefono, io lo scontrino accartocciato.

Questo accadeva ogni volta, costantemente,
così ci riflettei con calma e seriamente.
Conclusi che non era sempre per via della sua camicetta con vista:
accadeva anche quando indossava magioni da sciatrice primatista.

E non era il fascino delle sue parole, no, neppure:
pur se stava zitta, i maschi le prestavan sempre mille cure.
Pensa e ripensa, frulla e rifrulla nella mia testolina,
capii tutto, e così decisi, una mattina.

Ormai convinta che fosse per via della comunicazione non verbale,
cercai nelle Pagine Gialle, e alla fine lo trovai sul giornale:
corso intensivo di stile e di comportamento,
per mandar messaggi subliminali quando è il momento.

Ci divertimmo un mondo, facendo prove e controprove,
poi l’attestato finale, dopo aver saputo tutto sul come una donna si muove.
Ora so che rossetti e tacchi a spillo contano poco o quasi niente:
importante è saper lanciare il messaggio che dice: Io sono caliente.

Ero ansiosa di uscire e di mettermi alla prova.
Accadde una sera, ad una festa a cui andai nella mia veste nuova.
Per cominciare, presentata ad un tipo mica male, che non volevo scartare,
sfoggiai un sorriso più che solare, stringendogli la mano senza mollare.

Sapevo però che più di tutto contava la falcata,
così mi avviai decisa in una spettacolare camminata.
Avrei di sicuro avuto gran successo nel mio procedere diretto,
se i miei maledetti alti tacchi avessero retto.

Ma mi ripresi in fretta e proseguii la passerella,
mettendo i piedi uno davanti all’altro, come fa una modella.
Disinvolta e femminile, camminavo al centro, tutta estasiata,
e son certa che nel mio ingresso in scena tutti mi abbian notata.

Avevo appreso che due attributi son della sensualità l’essenza:
trasmettere una sensazione di calma e di confidenza.
Ma mi ci dovrò applicare di più ancora,
perché nulla accadde, neppure dopo un’ora.

Però, i miei occhi mai han dialogato col pavimento:
non ho abbassato lo sguardo neppure per un momento.
E le braccia non le ho tenute incrociate sopra al petto,
il mio approccio era disponibile e diretto.

Al seminario ho imparato un trucco per spopolare:
fingere di cercare con lo sguardo qualcuno che conosco e così continuare.
E’ accorsa la mia amica, credendo cercassi il cameriere e volessi un sorso.
Beh, lei non sa nulla: mica ha frequentato il corso.

Poi mi son seduta in un certo modo, sfogliando una rivista e le illustrazioni:
sapevo che il modo di sedere e di sfogliare val più di mille allusioni.
Di nuovo la mia amica, quella scema, che mi chiede se mi sto annoiando.
Uffa, questa della comunicazione non sa né il come né il quando.

Alla fine, sono andata in bagno a riprovar lo sguardo sensuale,
guardandomi allo specchio, stando un po’ di laterale.
Occorre esercizio, se no ti vien l’occhio da tramortita panterona,
e se vien male sembri una finta sorniona.

C’ero quasi riuscita, l’occhiata mi veniva bella,
quando è entrata una tipa tutte curve: antipatica, quella.
Mi ha guardato in modo strano e assai perplesso, son sicura.
Io neppure l’ho degnata, e ho fatto finta di ritoccar le labbra con disinvoltura.

Rientrata in sala, ero tutti sorrisi, pronta a far da preda.
E misi in atto la strategia appresa, in men che non si creda:
calarsi nel ruolo di un immaginario film, come unica sensuale protagonista.
Possibile però che fossero tutti occupati, per questo non mi han vista.

Nella lezione dedicata all’uso dei simboli dei colori,
avevo appreso che il rosso comunica passioni e ardori,
e che il bianco trasmette il senso dell’amore libero e aperto.
Mi son sentita un po’ Babbo Natale, però avevo un po’ di coscia allo scoperto.

Il capitolo dei gesti sinuosi ed eleganti lo avevo imparato a memoria:
raccontar nelle movenze la mia sensualità e la mia storia.
Così mi son messa a giocare con i miei capelli, accarezzando il collo.
Mi si avvicina allora un gran fusto, e per l’emozione quasi barcollo.

Sorride e dice, con una voce che mi fa battere il cuore: Fammi un favore…
Che intraprendente: già allude a intimità piene d’ardore!
Mi mette un biglietto in mano: sarà il suo numero e il suo nome. Che pigmalione!
Se posso darlo alla mia amica, per gentilezza, alla prima occasione.

Non mi interessa


Non m’interessa cercar me stessa.
Ancor ragazza avevo già tutto,
mai mi son tirata indietro.
E oggi, non più ragazza, di certezze ne ho.

Le prove della vita le ho guardate in faccia:
occhi negli occhi, per affrontarle a viso aperto,
per viverle fino in fondo, toccandole con mano.
Non fu per destrezza, ma per consapevolezza.

La prima vera crisi fu quando lui mi lasciò,
lui, il mio grande amore.
Mi misi a letto e dissi: Sono malata.
A chi cercava di distrarmi nell’intento d’aiutarmi,
io dicevo: Lasciatemi vivere la mia malattia,
lasciate che il mio cuore viva il suo dolore.
Col tempo si guarisce: eternamente mai non si patisce.
E per riprendere poi una vita nuova e normale,
occorre prima che il lutto sia totale.

Venne poi il turno mio d’abbandonare, ed ero io,
io, il suo grande amore.
Mi sentivo vuota e schiacciata,
ma non pensai, nella mia mente, di cercar me stessa.

Quale io mai cercare se il me cambia continuamente?
E’ la grandezza dell’animo femminile: aver mille sfaccettature.
Quale io mai dovrei cercare? Quale me potrei trovare?
Potrei amare per vedermi riflessa nello sguardo di lui,
ma potrei perdere una parte di me perdendomi nel suo sguardo.
Son più di mille le sfaccettature.
E’ la complessità dell’animo femminile:
gli uomini ci dividon in categorie,
e non sanno che noi siamo – ciascuna di noi – tutte le categorie:
donna, sposa fedele e infedele amante, mamma e lavoratrice,
devota e prostituta, massaia infaticabile, stanca e stremata,
coraggiosa e con mille paure, concreta e sognatrice, bugiarda e pur sincera,
e ancor donna.

Dentro di me c’è una tale energia emotiva
che devo controllare in me anche la fantasia.
Forse per questo son precisa e ordinata.
Ma cercar me stessa, no, non mi interessa.
Non ho una mia identità precisa:
in me son tante donne, e io ascolto – di volta in volta – quella che sento mia.