domenica 8 giugno 2008

Dovevo saperlo


In cima alla collina, dietro la chiesetta diroccata:
era il mio rifugio a cielo aperto.
Mai nessuno, i suoni lievi della natura
in tutto quel silenzio di pace.
Una vecchia panchina, ormai solo mia.
L’aria leggera, il sole ed io.
E - un mattino - lui.
Una paura senza ragione che mi prende:
il mio corpo già sapeva, prima di me.
Mi guardava, lo sguardo ironico e sicuro
degli uomini che san di esser belli.
Dovevo capirlo.
Con finta noncuranza me ne andai,
un’occhiata di straforo al suo didietro.
La mattina dopo,
nel mio rifugio a cielo aperto,
il silenzio non era già più di pace.
Mi giungevan diversi anche i suoni della natura:
girandomi, credevo di vederlo.
Poi, eccolo.
Dovevo capirlo.
Sorridente, ancor ironico.
Un saluto, uno scambio di banalità sul luogo.
E le sue parole: Vengo qui solo per incontrare te.
Dovevo capire.
E invece arrossivo: il viso mi scottava, il seno palpitava.
Seduto accanto, sulla panchina ormai non più solo mia.
Mi parlava piano.
Dovevo capire.
Quel pomeriggio, nella mia mente,
l’istantanea del suo corpo:
i suoi occhi, le sue mani, la sua pelle.
Di nuovo la mattina.
Senza più pace in quel silenzio a cielo aperto.
Dovevo capirlo. E scappare.
Mi sfiora il viso, con un dito leggero.
Lotto per perdere, e domando che vuole.
E lui dice che me,
vuole me e il mio profumo.
L’emozione è fortissima
e fortissimo il desiderio di buttarmi addosso a lui
e di sentirlo addosso a me.
Non m’era successo mai.
La sua bocca era già sulle mie labbra.
Il primo bacio fu quasi un morso
che mi trafisse, meraviglioso, l’anima.
Poi furono lenti, i baci, e lunghi,
nella crescente esasperazione
del groviglio delle sue mani.
Fu la passione senza fiato.

Durò quel che durò.
Poi accadde.
E la mia gioia nel dirlo a lui
divenne pianto sconsolato,
lui di ghiaccio,
quando mi disse ch’ero stata stupida.
Era cattivo.
Voleva mi liberassi della mia creatura.
Dovevo, dovevo capirlo sin da prima, sin da allora.

Compie un anno, la mia bimba.
Lui, sparito, non volle mai neppure vederla.
Sono stanca.
Sono tanto tanto stanca.
Solo con le sue braccine attaccate al collo
ritrovo un po’ di forza.
Solo con le sue braccine
- attaccate al collo –
ritrovo un po’ della mia forza,
anche nel pianto.

Tu, mio fiore


Raccolgo un fiore
da questo giardino
dove spesso ci dicevamo il nostro amore.
Lo adagio piano su una panchina
- quella panchina.
E mi siedo accanto a te
che non ci sei.
Qui attorno
- nella calma profumata che è giunta
con i colori del tramonto -
il ricordo di te pervade ogni cosa.
E mi penetra e mi fa male.

E piango
lacrime che non sanno salire agli occhi,
per quel fiore che ho reciso.

Tu sei la mia amica


La nostra è una storia di anime.
Ha il suggello del vincolo che ci lega
e che resiste nel tempo – nella gioia e nel dolore.
E’ il sentimento che perdura
quando altri - per altri - si dissolvono.
E’ il sentimento vero che regge distacchi e lontananze.
Tu sei la mia amica per sempre.

La nostra è l’emozione viva
del reciproco possederci.
E’ l’emozione che si rinnova
col suo stesso bisogno.
E’ l’emozione nutrita dai segreti più segreti,
il cui accesso è precluso ad altri.
E’ l’emozione in cui tutto ci giochiamo:
sentimenti e valori e desideri.
Tu, tu sei la mia amica del cuore.

Sei tu la testimone della mia vita. Io della tua.
Ci siamo scelti. Rimaniamo legati,
accogliendo trasformazioni e cambiamenti.
Noi, sempre lì a raccontarci:
intimità profonda che vive
di confidenze e confessioni,
finanche del celato bisogno di ricevere conferme.
E’ il confidarci e il fidarci e l’affidarci,
senza mai giudicarci.
E’ l’accettazione ad oltranza
nella lealtà, sempre disponibile,
in cui disattenzioni e sgarbi non son cosa nostra.
Tu, proprio tu, sei la mia amica per la pelle.

Mentre accolgo la tua ombra,
tu accogli la mia:
ombre, le nostre, in cui ci riveliamo veri.
Ombre che abbracciamo, per tenerci stretti.
Tu, sei Tu, la mia Amica.