sabato 29 marzo 2008

Nell'ombra


Prima ci fu lui: tanti anni insieme.
Poi un altro: tanti altri anni assieme.
Infine, il rifiuto: nessuno, l’uomo della mia vita.
Ora son sola.
Buona con me è la vita,
sarebbe completa con la persona giusta.
Ora son sola, ed è difficile.
La sera rientro a casa in fretta,
ceno veloce e mi rifugio a letto.
Son sola, e ancor non so come si fa.
Una svolta la vorrei:
per sorridere ancora e star di nuovo bene.
Tornare indietro, no: sarebbe ancora il buio,
all’ombra di un uomo.
Voglio prima brillar di luce mia:
allora lo guarderò negli occhi, alla pari, il mio compagno

Onirica composizione di sensi


pensiervezzosi brillaspumeggiano luminobriosi
zampilsorgentemente trascendendomente
percorrere alivolando loscorreretrascorrere
delmomentoistante chesifairidante
diverdegiallo maturvolgente amarantorossocorallo
musicandocroma inbemollearoma
fruttorosato disinfonicogusto petalvellutato
incarezzevoltocchi dicromorintocchi
buioemergenti dacolorprofumi tattilosuadenti
disensi senzasenso
nelnonsenso deisensi chedansenso

Mentre dormi


Nei tuoi sogni, stanotte, vorrei apparire.
E lì - io inafferrabile -
vorrei tu provassi per me
quel che sento per te.

Ti starei accanto, evanescente,
e vorrei tu sentissi in te
una tenerezza infinita
che ti avvolge e ti avvolge.
Vorrei, stanotte, essere il tuo sogno.
Ed essere - sensazione notturna –
l’ombra verso cui aneli e che non c’è.

Vorrei, questa notte, che il tuo sogno
ti facesse destare per un attimo, confusa,
mentre la tua mano scorre invano
a cercarmi nel freddo accanto a te.

E – non trovandomi –
richiudessi gli occhi.
Per ritrovarmi nel sogno.

Maledetta me


Di nuovo nel baratro, maledetta me.
Di nuovo ci son cascata.
Di nuovo è tornato, lui sparito per mesi e mesi.

Nel mio letto. Straordinaria la follia dei sensi.
La mattina, poi, il risveglio:
no, non può,
no no, nessun impegno.
Sparito di nuovo. Da lei.

Io uno straccio.
Anzi, no, arrabbiata.
Anzi, no: furente.
Con me stessa.

Volevo, vorrei, forse vorrò
soltanto
una straordinaria follia dei sensi.
Nel mio letto.
Assaporare tutta, ma tutta,
quella libertà – scandalosa –
dai sentimenti e dall’amore e dalle colpe,
quella libertà – scandalosa –
che gli uomini, loro sì, ben sanno.

E invece no.
Non ci riesco, no.
Maledetta me.

Le mie vacanze


E’ deciso: viaggio in solitario.
Non più amici in coppia e amiche in caccia.
Parto da sola: io completamente libera.
Per ritrovar me stessa.
Per mettermi alla prova.
Per trovar – perché no – nuove amicizie.
Una vacanza a me dedicata.
E al mio piacere.
Una valigia per compagna.
Sarà l’evasione l’aria nuova del mio respiro.

Cenar da sola, però…
Ma sì, io disinvolta brinderò a me stessa.
Per ricominciare.

Lampada di Aladino


E’ strana davvero la mia lampada d’Aladino:
quando il genio esca non si può mai dire.
Se l’accarezzi o la sfreghi,
non ne vuol sapere,
neppure se la preghi.

E’ davvero strano l’animo mio:
l’intuizione che sorprende accade così, a volte.
Se lo curo o lo coltivo,
mi arricchisce,
e mi sento vivo.

venerdì 28 marzo 2008

La voce di lei


I miei occhi chiusi su una visione di prati.
Ho escluso lo spazio verde di campi e coloratissimo di fiori,
che vive incantevole sotto l’azzurro del cielo.
E percepisco solo un suono melodioso di ruscello.
Che mi culla.

Musicalità che si rinnova nel fraseggio,
parole musicali in chiave di violino,
note accordate dall’emotività che le ispira.
E ne percepisco la sonorità nascosta.
Che mi colma.

Voce solista che sa d’orchestra,
armonie emerse dal pentagramma del cuore,
suggestioni e sensazioni improvvisate.
Percepisco l’emozione del crescendo.
Che non mi calma.

Incantevoli corali a più voci in una sola voce,
la dolcezza struggente di un bemolle dell’anima,
pause pregnanti di note non scritte.
Ne percepisco l’intensità viva.
Che si compie.

I mie occhi chiusi sulla visione di lei.
Ho escluso tutto: solo lei presente,
che parla incantevole al mio cuore.
La percepisco. La sento unica.
E mi compie.

La casa gialla


Eccola, davanti a me, la casa gialla: splendida nel sole.
Il vento che si è levato rende tremule e argentate le foglie
degli ulivi, sulla sinistra.
Nel prato, sul davanti, la macchia blu degli iris.
Dietro, con i suoi profumi, il bosco.
Le cornici bianche, intorno alle finestre scure di noce.

Eppure non par più viva come quel giorno in cui,
sotto la pioggia, rimasi lì – incantata – a sognare
la mia vita insieme a te.
Immaginavo, allora, di veder la porta aprirsi:
tu ad accogliermi col tuo sorriso,
per abbracciarmi poi e tenermi stretta.
Tu, il mio rifugio
(lo sai, amore mio? Non ho mai avuto un rifugio, io).
L’emozione, allora, faceva battere il mio cuore di donna
e faceva tremar la mia mano desiderosa di accarezzarti.

Eccola, davanti a me, la casa gialla: splendida nel sole.
Non par più viva.
Come te, ingannatore.
Come te: il mio gigante con i piedi d’argilla.

Infine


Alla fine, nessuno può salvar nessuno.
Eppur pensavo: io lo salverò.
Lui così introverso ed egoista, io nel suo vicolo cieco.

Alla fine, la mia vita è ancora mia.
E ne accadono di cose.
Accade perfino il mio star bene.

Ho liberato il cuore.
Attimo per attimo, son di nuovo io.
Alla fine.

Indiana


A passi lenti, noi due accanto, nella sera così dolce
che già era scesa sul nostro desinare esotico e gustoso
di risa e sguardi, respirandoci piano.

A passi lenti, noi due accanto, così vicini,
attenti a non sfiorarci, nella nostra prima sera.
Passeggiare insieme, attorno ad un laghetto,
tra la gente, nelle luci serali di parco.

Riprendere i passi lenti, noi sempre così vicini,
dopo un breve sguardo alle stelle:
ma è qui tra noi lo strano cielo che ci avvolge.

Riprendere ancora i passi lenti, tra il sentore di stagno
e i lievi profumi di primavera.
Or così vicini eppur più distanti - per finta indifferenza –
dopo averti sorretto, per un momento, nel tuo passo falso.

Passi che ci conducono ora, non più lenti, ad una panchina.
Seduti accanto, col l’alibi del raccontarci per spiarci.
Così bella e calma la sera, nascoste le emozioni,
la luna chissà dove.

Qui seduti la notte è più notte, tutto il resto ormai svanisce.
E tu – d’un tratto – ti giri verso di me: e siedi all’indiana.
Presa da un nuovo brio, il tuo sorriso è diverso.

Io parlo e racconto e parlo: mi guardi e mi fissi, sorridi,
annuisci con voluta ironia per la tua finta attenzione,
divertita dal mio ormai inutile dire che tu più non ascolti.

Muta il tuo sguardo, e rivela la donna.
Muta il tuo sguardo, e più non ho scampo.
E le tue labbra son già sulle mie. E mi cerchi.
E mi trovi.

In silenzio


Vorrei partire con te. Ora.
Per pascoli alpini
alti, silenziosi e intatti.
E palpitare con te,
contemporanei del silenzio
che lassù scorre
alto e intatto.

Illudersi, per sentirsi amata


Ero giovane – oh, com’ero giovane:
ancor ragazza e divenni sposa.
Innamorata? No: la mia adolescenza fu spezzata,
nell’improvvisa attesa d’esser mamma.
Lasciati i giochi e le canzoni,
d’un tratto fu la vita dura e faticosa.

Or di lui non sopporto più nemmen lo sguardo su di me:
egoista senza misura, violento e senza cuore.
Mio figlio, ormai grande, invece l’adoro.

E c’è un uomo speciale da un po’ nella mia vita,
che mi ascolta e mi comprende.
Tanto è l’affetto e grande è la stima.
Andar via con lui – io lo so – sarebbe un sogno.
Se son rimasta è solo per pietà di lui che mai non cresce.
E ancor mi logoro negli obblighi di moglie assente,
e più non reggo menzogne e falsità.
Chiedere all’altro di fuggire insieme, ecco, dovrei.
Ma io non oso, se lui non sceglie mai.

Ho un amico, caro e prezioso, che scuote il capo:
mi chiama ingenua e dice che son sciocca:
perché rimango in gabbia,
e perché m’illudo dell’amor dell’altro
- già, quello speciale, che ha moglie e figlio:
figlio che ama, moglie che più non ama ma che non lascia.
A volte la realtà mi ferisce improvvisa,
e mi fa male, mi fa male dentro,
nel dubbio d’esser solo amante a tempo perso.
Poi so ritrovare i miei ma, ricercare i miei però:
per giustificare, per dir a me stessa che m’ama davvero.
Ne morirei, io, altrimenti.

Il tempo


Si dice che il tempo scorra.
Noi qui: nascere e vivere e perire.

Si dice che il tempo scorra.
Ma scorre davvero il campo
visto dal finestrino
di una vettura in corsa?

Si dice che il tempo scorra.
Ma fermo è il tempo.
Noi, le cose e tutto
scorriamo nel tempo.

La vita è il fiume,
le sponde il tempo.

Il mio giardino


Una rosa tra le dita, colta dal roseto nel mio giardino:
appassirà, ma altre già ne stan sbocciando.
Passiamo, noi e ogni cosa, nel tempo.
Ora son qui con la mia rosa in mano,
nel giardino tutto mio che m’appartiene,
tra ricordi e progetti.
Mi dà un senso il pensar ai boccioli di rosa:
se stan bene, se crescono, se fioriranno.
Lo piantammo insieme il mio giardino,
io con lui che d’un tratto mancò e ancor mi manca.
Anni di buio, con la metà di me rimasta,
l’altra metà morta con lui.
Oggi ho per stile la serenità,
io coi capelli grigi.
Una gran tranquillità mi viene dal passato.
E da questo giardino, ogni volta, ricomincio:
per tentar di conoscere me stessa,
per cercar in me quella piccola luce
che brilli come gemma che sboccia.
E’ ancor tanto impegnata la mia vita,
eppur le so trovare le mie pause di silenzio:
per coglier, come una rosa, quella luce.
E’ spesso nel tacere della notte
che distinguo in me la mia voce vera.
Il corpo appassisce come una delle mie rose,
ma la mente è carica di nuove gemme.
E trovo bello l’andar avanti nel tempo.
Un nuovo amore? Chissà, ma non lo cerco.
Fiorì già così tanto il mio giardino,
son meravigliosi i miei ricordi.
E ci son giardini che appartengono solo a noi stessi:
è questa la bellezza del vivere.

Il lato oscuro


Serpeggia la rivalità tra noi: siam donne.
E’ il nostro lato oscuro.
Creder che le altre sian buone
è una bugia che ci diciam per non sentirci sole.
Perfin l’amica può diventar antagonista
– se poi è quella del cuore, davver fa male.
Tra di noi ecco i sentimenti:
rivalità, amicizia, invidia.
E’ l’incertezza nostra interiore.
E’ per non soccombere
che l’io nostro deve riuscir vincitore.
E vincere una volta davver non basta:
costante è la lotta, l’arena è vasta.
E gli uomini non sanno che
il nostro agghindarci e proporci e atteggiarci
non è sol per loro.
Certo una lor occhiata ammirata gratifica,
ma più sottile è il gusto
di quella d’altra donna:
quel cogliere l’invidia nella lor ammirazione.
E chi meglio di noi sa quanto male l’invidia faccia
con la sua lacerazione?
Se poi c’è una rivale,
nemica per la pelle quella diventa:
avversaria da coglier sempre di sorpresa
e da distrugger. Per rivalità.
E per gelosia.

Il guanto nero


Melodie orchestrali nella sala della penombra dei colori.
Nei calici, bollicine di note musicali.
Voci allegre, confuse nella sonorità. Sorrisi e fumi.
Papillon e abiti da mezza sera.
Poi – d’incanto – tutto cessa:
è il silenzio che crea attesa,
nel buio delle spente luci colorate.

Appare lei,
illuminata da un cerchio di luce bianca e innaturale.
Avanza piano, verso il centro del palco.
Elegantissima, nel suo frac nero
che cade sulle gambe nude calzate a velo.
Di nero vestita, i guanti lunghi.
E un cilindro rosso.
Lei.

Qual è mai il suo fascino?
Lo sguardo, il sorriso accennato, il portamento?
C’è in lei una fierezza strana
quando gira attorno alla sedia sul palco.
Ora canta una melodia che incanta.
La commozione che sale prepara l’applauso.

Poi è di nuovo silenzio.
Lentamente, si sfila un guanto.
Scende piano tra il pubblico ignaro:
poggerà la mano – ognuno lo sa - su qualcuno;
ciascuno spera eppur teme,
respirando il profumo di colei che passa lieve.
Lei cerca chi non c’è.
E io che la vedo – da un sipario, tra le quinte -
guardo altrove per non veder il suo sguardo perduto.
E ne soffro, trafitto. Per lei malata.
Per lei che chiama magia l’inganno del male.


Di nuovo sulla ribalta:
è stupenda nella sua bellezza superba.
Si avvia tra le pesanti tende rosso cupo,
asciugandosi una lacrima.
E scompare.

A terra, sul palco, un guanto nero.
Che conserva ancora il suo tocco.

Il gioco


Riemerge ora la parte magica e bella di quel mio gioco, qui,
davanti al tuo volto, mentre tu riposi nella terra, protetta dal marmo.
Lo sai, mamma? Io, allora bambina – sorrido –,
rifuggivo per paura dai volti scuri che mi parevan specchi del mio.
E rifuggivo dal tuo, non potendo guardare la vita spenta
che lo adombrava e in cui ti chiudevi inerte.
Volti scuri di casa, che dicevan la tristezza di non poter far nulla per te
ormai prigioniera silente dell’apatia del tuo animo.
Dov’eri tu? E il tuo sorriso per me dov’era?
Io bambina, impaurita, mi rifugiavo allora
in un gioco che avevo scoperto chissà come
in un angolo segreto della mia mente:
ricercare il tuo volto di mamma, ritrovarlo lì ad aspettarmi,
per rivolgermi a te e sorriderci del nostro sorriso.
Quel cielo che pareva grigio tornava allora blu,
mi ridava un po’ di forza e potevo riguardarne i colori.

Ora ho altri volti - sereni, di un’altra casa - la mia.
Volti cari che dicon la gioia d’essere noi famiglia.
E il cielo è quasi sempre blu.
Solo a volte – ma questa è cosa mia –
una tristezza lieve sale lieve come una lacrima
che cade lieve come una prima goccia nel cielo grigio.
E la accolgo e la conservo, in un angolo segreto.
Dove ti ritrovo ad aspettarmi,
per sorriderci del nostro sorriso.

I miei vestiti


Son le piccole cose, a volte, a dar sicurezza.
Il trucco ben fatto, i tacchi giusti, l’abito che casca bene:
dettagli che recano impercettibili gratificazioni,
che mi dan fiducia in me stessa.
E’ il desiderio di.
E’ un atto d’amore.
Verso di me.

Non son solo vestiti: sono i tentativi infiniti.
Il tema musicale è il corpo, gli abiti le sue variazioni.
Nella grammatica del porsi, i vestiti son declinazioni.

Quando io scopro un nuovo capo, esso diventa la mia meta:
eccitata, coinvolta in un innamoramento,
la scoperta mi rallegra e mi travolge in un momento:
è quel che mi si adatta, m’assomiglia e mi completa.
Diventa il sogno d’un corpo nuovo,
per vivere il ruolo in cui mi rinnovo,
per migliorarmi e conferire al mio aspetto
piacevolezza e armonia cui anelo e che sempre aspetto.
Ogni volta fantastico: è quello il capo che mi manca.
M’accendo di nuova vitalità, non son più stanca.

E’ una questione di sicurezza, di identità.
E lo confesso: è anche per rivalità,
per affermar sulle altre la mia supremazia.
E’ il gioco affascinante del compier una profezia:
dall’invidia di una so d’aver fatto centro.
Non sempre sull’uomo nel vestirmi mi concentro:
è spesso per le altre, e non per essere ammirata.
La gelosia femminile
spesso val più d’un complimento maschile:
è per essere da quelle poi invidiata.

Per una donna l’abbigliarsi è il passatempo più gradevole,
anche la più saggia e la più seria in questo è cedevole.
E se una donna rinuncia, qualcosa non va: è il rifiuto della femminilità.

Ci son mattine che si vorrebbe scappare: tornare a casa per potersi cambiare.
Questione di agio: sentirsi in forma per non essere a disagio.
E’ serenità e soddisfazione, se ciò che indosso assomiglia alla mia sensazione.
Incontrar me stessa e rispecchiarmi nell’abito che mi son messa.

Ci son momenti e momenti.
A volte, nessun uomo può rendermi felice come un abito di seta.
In casa, poi, non è il momento: non ci si veste per la vita domestica.
Sentirsi ammirata e un po’ invidiata è un balsamo per l’evasione.
E ci son momenti scandalosi in cui scelgo la biancheria
come se dovessi indossarla sopra.
C’è poi il momento di preparasi per una gran serata,
ma quella non conta, il piacere sta nel prepararsi
per la propria entrata.
Umiliante sarebbe passare inosservata.
Ci son anche i momenti in cui si prolunga il piacere:
negli acquisti, nella scelta, nelle prove.

E ci son infine i momenti miei e miei soltanto.
E’ il preparar e l’indossar la biancheria, che è mia, dell’intimità.
Non è per un uomo, che forse mai la vedrà.
E’ il piacere nascosto che sicurezza mi dà.
E’ per quell’altra mia personalità,
una riserva che indosso quando la prima non va.
Quella biancheria è soltanto mia,
preziosa e ricercata, già vissuta, già usata.
E’ la mia seconda pelle.
Nessuno la vedrà, ma io la sento nell’intimità.
E son me stessa, con maggior sicurezza.
E con fierezza.

domenica 23 marzo 2008

Fragilità


Accade – in certi momenti bui e stagnanti –
che tu mi chiami: mi basta la tua voce.

E’ come in un pomeriggio scuro
di una giornata che non ha visto il sole:
nuvole pesanti e quasi nere
che incupiscono il grigiore plumbeo del cielo.
Poi la tua voce:
uno squarcio improvviso d’azzurro,
rallegrato da raggi vivi e dorati,
che svela d’un tratto la profondità alta e infinita
dei cieli.
Accade quando tu mi chiami.
Mi basta la tua voce
a darmi un brivido.
E già sono dentro il momento
indicibilmente prezioso che mi avvolge
con l’eco lasciata dalla tua voce.
E che assaporo all’infinito.

Come ti vorrei


Pazienza, se tu principe non sei.
E azzurro, poi, davvero no non ti gradirei.
Ma che tu mi capisca, questo sì che lo vorrei.
Forse, chissà, abbiam troppe pretese,
ma che voi non ci capiate mai è pur palese.
E mai ci capirete, senza offese.

E non fermarti – tontolone – all’evidenza,
cerca d’intuire la mia vera essenza:
per capire ciò che voglio, vai oltre l’apparenza.
Se con te a far la tenera mi metto
è per il desiderio vivo che ho nel petto:
se sol voglia di coccole tu credi, mi fai un dispetto.
Così, se mi lamento qualche volta,
non trar fuori la soluzione che nella tua testa hai colta,
ma taci, abbracciami, lasciami parlare e ascolta.

Ma dov’è mai l’uomo ideale, sulla luna?
Forse, se càpita, è sol per colpo di fortuna.
Dovrò formarlo io su misura, dovrò inventarne una.
Perché poi è riservata a noi tanta asprezza?
Lo vorrei speciale e sol per me, è una certezza.
Sì, perché mi darebbe sicurezza.

Colori


Il mio nuovo giorno inizia nel rosso del tramonto,
quando l’oggi diventa ieri nel crepuscolo rossastro
e il domani si fa oggi nel cielo dorato.

L’arancione dell’aurora è uno squillo silenzioso
nel risveglio del mattino,
destando alla vita che rinnova.

E’ giallo il momento in cui
la mente raccoglie i pensieri
per riordinarli e acquietarli.

Verde è il senso di pace
di quando si è in pace
e tutto par quasi bello.

L’amore assume i toni del blu,
facendosi a volte azzurrissimo infinito,
altre volte celeste di gioia.

Sogni e aspirazioni assumono tonalità
or di viola profondo, or di intimo violetto,
fluttuando nell’indaco dell’animo che li accoglie.

Di che colore mai sei tu, donna unica e anima mia?
Sei forse del colore dei tuoi occhi? O del tuo sorriso chiaro?
Tu, tu sola, hai tutti i colori iridescenti e preziosi che scaturiscono
dai riflessi della luce diamantea che hai nel cuore.

A Sua immagine


Ditemi, se lo sapete: è uomo o donna
il Signore dell’universo?

A volte mi par uomo,
se guardo la malvagità del mondo.
Di certo è uomo: quaggiù prevaricazione e morte.

Osservo poi un fiore, un tramonto, il mare:
dev’essere donna il Creatore.
Di certo è donna: ci sono i bimbi e c’è l’amore.

Non ditemi più nulla voi che non sapete.
Or io lo so: l’Onnipotente non è l’uno e non è l’altra.
Ma il suo animo, quello sì, è di donna.

venerdì 21 marzo 2008

Bella da far male


E’ superba la tua bellezza bruna, che tu stessa non sai:
emersa dalle pagine sacre del Cantico dei cantici,
riveste l’animo scaltro e geniale della regina Izebel.
Creatura indomita, tu, che anela al cielo e brama la terra.
In te ci son due donne, come nell’Eden
la conoscenza del male e il frutto che darebbe vita.
Eppur non sei della specie del cherubino,
perfetto in bellezza, libero e senza difetto finché
tentò la libertà che lo rese schiavo di se stesso.
Al fondo dei tuoi occhi scuri c’è una luce.

Ti vidi salire dalla terra di Sulam,
stupenda tra le donne, superba in bellezza.
Custodivi le vigne, benché la tua vigna,
quella che era tua, non la custodissi.
Davanti a te, sulammita, fui ricco – per un momento –
ancor più che il re Salomone.
Per la tua bellezza superba,
perché tu sei bella da far male.

Non imporre giuramenti alle figlie di Gerusalemme.
Poni invece tu – terza donna - un sigillo sul tuo cuore.
La vigna, che appartiene a te,
è a tua disposizione.

Anniversario


Facciamo che io ero il tuo fidanzato.
E che tu ti mettevi un velo per sposarmi.

Facciamo che tu eri la mia sposa.
E che io promettevo d’amarti per sempre.

Ricordi, vita mia, il nostro gioco?
Guardo i tuoi occhi: son quelli d’allora.
Vieni, vita mia, voglio tenerti stretta.

Facciamo che eravamo bambini.
E che ci sposavamo ancora.

Or facciamo che ci eravamo sposati.
E che per tutta la vita t’amerò ancora.

Casa


Sono cresciuta credendoci:
un amore per sempre, la serenità, la gioia.
E’ questa la visione evocata per me
dalla parola che la racchiude: casa.

L’ho capito dopo, che con lui non era casa.
Era così bello che neppur ci pensavo,
con quel suo viso scanzonato e tirabaci.
Pareva tutto un sogno
e, come un sogno, svanì così.
Bastò parlar di casa: e lui svanì.
Ancora non sapevo che gli uomini passano e scappano.

Per dimenticare, una vacanza.
Amo il mare: per far ordine nel cuore e nella mente,
una spiaggia e il sole e io da sola in una stanza.
Ecco, andar lì con nessuna voglia di far niente.
Una sera, una musica festosa,
l’allegria e la folla chiassosa.
Perché no? Ballare e tutte le pene scordare.
Mi butto in pista, ballo da me e per me, nessuno in vista.
S’affianca un tipo che ride e sorride e mi rallegra la sera.
E balliamo, balliamo e balliamo
finché la testa gira e manca l’aria in quella balera.
Usciamo, mi porta giù al mare.
E parliamo, parliamo e parliamo.
Dolce la notte, la luna esagerata, piacevole il passeggiare.
Alla fine ci prova: no, non son così, come una donna che si trova.
Scappo via, mi volto, guardo che non ci sia.
E non so, sì, non so se volevo che fosse lì.
Rientro e son di già pentita:
forse era l’amore e la favola infinita.

Ci fu poi un altro, bello come il ballerino di una sera.
Senza neppure il mare o le stelle,
sotto un lampione spento, neppur la luna c’era.
Un bacio. Un altro bacio, un altro ancora.
Gli fermo la mano: la lezione l’ho imparata sin da allora:
pochi giorni e se ne andrà.
Mi guarda dolce, m’accarezza il viso e non so più come sarà
quando il nome mio, detto da lui, m’inebria e mi dà l’oblio.
Poi i baci veloci, quei baci, tanti baci.
Che si fan lenti, sempre più lenti…
E’ lo sfinimento, amore mio.
Già da lui.
Casa. E di chi è mai questa casa? Mia, tua, nostra.
Ma come ho fatto?
Io nel letto d’uno sconosciuto che forse fa solo un giro in giostra.
Un nuovo giorno, colazione con lui, ancora il letto sotto quel tetto.
Non è solo diletto: è la gioia, è la vita che mi incanta.

Fu invece il dolore che schianta.
Nessuna vita futura: per lui, solo avventura.

La vita non è sempre meravigliosa.
Eppure il cuore non s’arrende.
La sogno ancora, io, la casa.

Bacio


Avvicìnati…
Di più. Ancòra…
Chiudi gli occhi.
Socchiudi le labbra…
Avvicino le mie alle tue…
Ti cerco.
E ti trovo.
Ci baciamo.

Parla sussurrando baci, la tua bocca;
baciano sussurrando amore, le tue labbra.
Qui, su di me, chìnati.
Sulle mie,
le tue labbra
alitano parole d’amore
calde e molli.
Nelle mie, ardenti, gemono.

Vorrò morire così,
portando nel silenzio i tuoi baci.

Ambra


Dove vanno le sensazioni che più non sono?
Se un sentimento ha animato la mia vita,
dove mai vaga l’anima del sentimento?
Io solo sopravvivo, portando il peso doloroso
della mancanza che si fa presenza vera
e rende ancor più vera l’assenza.

Non esistono i fantasmi.
Eppur aleggia qui attorno, accanto a me,
quell’anima viva e ineffabile.
Non è svanita: si è raccolta.
E vien custodita
in un’ambra che dentro è vita.

venerdì 14 marzo 2008

Una finestra sull'universo


Non lo avevo mai colto prima.

Io viandante, capitato qui per caso,
in una locanda sul mare.
Una camera in cima,
che dà sulla quieta distesa marina,
in una sera fuori stagione,
su un tramonto quotidiano ed ambrato.

Deposta la valigia delle cose,
mi adagio stanco su un letto non mio:
la parete a vetro è aperta sulla frescura profumata
della primavera,
e incornicia l’immenso quadro della sera.
Il mare è in calma come il tramonto,
e riflette colori cupi e intensi.
La sera imbrunisce
e il buio invade piano il turchino sempre più spento
che si ritrae
verso gli ultimi bagliori rossastri all’orizzonte,
e cede alla sera.
Di già una stella, poi un’altra.


E’ silenzio. E’ calma.
E’ la notte che non è più sera.
Chiudo gli occhi
e scivolo in un sogno senza sogni,
cullato dallo sciacquio lento delle onde
che hanno assunto i toni di un notturno.


Non lo avevo mai colto prima.
Mi desto.
L’immenso quadro è ancor lì:
la cornice è la stessa, stessa la visione di mare.
Ma la notte è accesa di stelle
e il mare scuro luccica di luna,
nei colori notturni, più nitidi.
E il firmamento – superbo -
dischiude allo spazio il tempo dell’infinito.

Non lo avevo mai colto prima:
lo stupore di essere stupito.

E - dietro tanta tacita grandiosità -
avverto
il Sublime.

Lacrime


Non è un segreto che le donne piangono.
Rimane spesso segreto per l’uomo
perché le donne piangono.

So, mia amica preziosa,
delle emozioni che sempre scorrono
appena appena sotto la tua pelle,
pronte ad affiorare.
Tu piangi non solo per tristezza:
di rabbia, a volte, le tue lacrime;
altre, di paura;
altre ancora, dispiaciuta per te stessa;
di felicità, perfino.
Raro che tu pianga per l’evento del momento:
l’emozione trabocca in pianto
per il cumulo di ciò che hai tenuto dentro.

Non è un segreto che le donne piangono,
rimane segreto per l’uomo insensibile il perché.
E non capisce che mai dovrebbe interferire
quando una donna piange:
deve piangere,
per benessere emotivo.

Non è un segreto che le donne piangono.
Ma – ci rammenta il rabbi –
“Dio le conta, le lacrime delle donne

La mia gonna etnica


Prima o poi lo farò.
Io – solitaria – determinata a partire
per un viaggio tutto mio, lontano.

Affrontare l’imprevisto e la sorpresa,
il brivido dell’avventura e l’emozione liberatoria,
esplorando i miei stessi limiti.

Con la valigia sempre troppo piena,
metterò da parte la paura di imbarazzi e di fastidi.
Si può star comode, sicure ed esser pratiche
pur nella libertà di stravolgersi.
Prima o poi lo farò.
Incuriosita, andrò per mercatini – io l’adoro –
e scoverò una collana etnica
che dovrà essere mia,
e forse troverò una gonna multicolore
che vorrò indossare
per mischiarmi alla folla indigena.
Allora – socievole ed estroversa, ma sempre curiosa –
starò a chiacchiera e mi farò coinvolgere.

Rigenerata dal mio viaggio,
tornerò – io lo so – più sicura e intraprendente.
Io autonoma e determinata.
Sì, lo farò.
Prima o poi.

E fui un altro


Ti vidi e mi guardasti.
Fu dal tuo sguardo
(i tuoi occhi fermi e vivi e calmi
mettevano a nudo
il mio animo,
penetrando nei miei)
che compresi,
- in un momento -
che non sarei più stato lo stesso.

Esprimersi


Quali parole mai troverò per dirmi?
Come staccarmi da quelle
che nella mia mente si affollano,
- nonostante me -
e che son come scarti
tratti dai rifiuti del pensiero?
Cercherò parole che
sian frutti coltivati
nel terreno dell’animo.
Cercherò parole vive
come pegni in formazione.
Le incontrerò
nella calma interiore:
parole che siano ricettacoli dello spirito.
Parole che parlino.
E il cui eco giunga
nelle profondità dell’anima.
Parole che schiudano
la porta dei segreti.

Rimarrò poi sulla soglia,
nuovamente assetato
di ciò che è incomprensibile:
vi sono altezze inaccessibili
anche alle parole più sublimi.
E lì, dove le parole si diradano
e più non riescono,
sorgerà la musica, e mi condurrà.

Poi sarà il silenzio vero.
E nel silenzio
scoprirò
l’ascolto.

Domande


Il momento arriva
in cui
sorgono le eterne domande sul senso della vita.

Nella sofferenza, nel dolore, nell’ingiustizia, nella disperazione
si fa più impellente il bisogno di risposte.

Eppure, la prima domanda al mondo
non fu a porla l’uomo,
ma fu posta all’uomo: Dove sei?
L’uomo aveva udito la Voce e s’era nascosto.
Da allora ci siam sempre più nascosti,
neppure distinguiamo più la Voce.

Le risposte non le abbiamo
perché abbiamo dimenticato la domanda.

Arriva il momento in cui
sorgono le eterne domande.
E ancora non abbiam compreso
che non si tratta di por domande,
ma di dar risposte.

La nostra stessa vita dovrebbe essere
una risposta.
A Dio.

domenica 9 marzo 2008

Donne in estate


Troppo caldo e mi sento spesso a terra,
poca l’energia, batto la fiacca,
mica però è da star chiuse in serra,
due volte a settimana è il minimo da cui non ci si stacca.

Io sono invece assai felice: volete degli esempi?
Ho più tempo per coccole ed intimità,
lo star soli ci fa tornare ai vecchi tempi,
poi da viver tutta è la notte senza castità.

Son giovane, io, e assai carina, dico il vero.
Pochi giorni ancora e con le amiche mie partiremo.
Di incontri maschili ne faremo, io lo spero.
Sian cinque scatenate, problemi non ne avremo.

Non sopporto d’estate il caldo afoso
e la voglia mi vien di spogliamenti.
Io mezza nuda per casa: lui divien focoso.
E lo si fa. Ma quanto sudare in quei momenti!

Caldo, bel tempo e buon umore.
E mi vien voglia di sedurre e non d’essere sedotta.
Mi vien la smania delle forti emozioni dell’amore.
Sarà che d’estate seguo un’altra rotta!

Ho raggiunto, ahimè, la pace dei sensi.
E non c’è risveglio estivo che tenga.
Vado a letto e per dormire, senza scompensi.
Qualcosa manca? Non a me. Non so poi se a lui la voglia venga.

Estate, inverno, primavera, autunno: io lo farei.
Ma lui fa il pendolare e non c’è mai.
Se sian più le rabbie od i sospiri non saprei.
In verità, io lo farei, perché mi piace assai.

Far l’amore con lui non ha stagione.
L’amo da morire: così non m’ero mai sentita.
Ogni giorno di più è più forte l’attrazione.
E spero che duri così tutta la vita.

Che bello: io d’estate non lavoro.
Non è che poi lo faccia assai più spesso,
ma – più rilassata – mi dedico tutta al mio tesoro.
E così, più tranquilla, lo faccio meglio il sesso.

Occupatissima io, occupatissimo lui. Che fare?
E’ d’estate che diamo vento alle vele
e ci rifugiamo in una isoletta in mezzo al mare.
Ogni anno così si rinnova la nostra luna di miele.

Nei mesi estivi lui ha solo quel pensiero
e non gli vien mai voglia d’altro.
Io con lui lo faccio, è vero,
ma in quei momenti penso a un altro

Dispettosa


Tu, passata accanto con finta indifferenza.
Non ho avuto il tempo di cogliere il tuo sguardo birichino:
già mi scompigliavi i capelli, divertita dai tuoi dispetti.

Adoro la tua giocosità improvvisa
che sa vincere la mia seriosità,
quando sai stuzzicarmi – maliziosa –
e sedurmi con il gioco.

Scompare allora la donna
e riveli – insospettata – la ragazzina che è in te.
E d’un tratto mi fai gola,
nella tua spensieratezza.
Ma dimmi dimmi dimmi:
perché ora scappi divertita e ridi?
Poi è lotta libera, rotolandoci tra cuscini.
E m’intrighi. E mi tenti.
Rifuggi ancora, allegramente.
Mi fai poi vincere e t’arrendi.

Nell’intimità ritorni donna.
E mi vinci.
E io mi arrendo.
M’arrendo alla tua tenerezza così tua.

Scelta


Chissà, c’è forse una trama sottile
che tutto e tutti lega:
incontrare, perdersi, ritrovarsi.
Una sorta di fatalità
a cui lasciarsi andare.
E dove sarei mai io
mentre la vita mi accade per caso?

Chissà, c’è forse resistenza
per non accogliere i cambiamenti:
rinchiudersi per dir di no.
Una sorta di paura di vivere
per non rischiar delusioni.
E dove sarebbe mai la mia vita
mentre non consento che accada?

Geme il mio io misterioso e nascosto.
Bussa di continuo alla porta della mente.
Gli aprirò e l’ascolterò.
Non lo lascerò poi – libertino - alla deriva,
in balìa del capriccio del caso.
Né lo terrò – prigioniero –
nel chiuso della rinuncia che soffoca.
Lo ascolterò in silenzio.
E lo condurrò, con me,
nella libertà
delle scelte buone e consapevoli.

Sconvolgente e meraviglioso


Lo desideravo più di tutto al mondo:
diventar mamma, dare alla vita.

Gioie indicibili,
più flebili e ansiose, ogni volta seguite dai lutti
nel dolore immenso d’aver perso le mie creature.

Lo desideravo così tanto: mettere al mondo.
E quella sera, chiusa da sola nella stanza,
immersa in un bagno caldo,
parlai piano accarezzando il mio grembo nel pianto di mamma:
non te ne andare, ti prego, vita della mia vita, non te ne andare.

Ci son gioie che emergono, silenziose e grandiose, dal dolore infinito.
E fu con il dolore che volli sporcarmi,
per gustarlo fino in fondo nel dar alla luce.

Lo attendevo.
Nelle prime avvisaglie di contrazioni,
divenute poi decise e regolari,
fattesi forti nella notte,
tra l’estasi e il dolore.
Non un urlo, ma il pianto:
una crisi di pianto nel travaglio.
E le fitte fortissime, la mattina.
E fortissimo poi l’impulso irrefrenabile a spingere,
a spingerlo fuori oltre la rottura, verso la vita.

E’ più forte di me la forza che d’un tratto mi possiede,
e non son quasi più io: sono diventata il mio corpo e la sua forza.
Tutto viene da dentro e pare esplodere nell’urlo.
Dolore e sensazione esaltante:
non sono stata mai così felice d’esser donna.
E continuo la mia lotta a corpo a corpo con la vita.
Un ultimo grido, disperato – come è mai possibile aprirsi così?
L’ultima spinta, per rimaner senza fiato.

Eccola.
La stringo al petto.
I suoi occhi nei miei.
E non smetto più di baciarla.
Non smetto.

sabato 8 marzo 2008

F


Femminilità festeggiata fieramente:
fragori, fiocchi, fasto fulgente,
fantasiosi fasci floreali,
faville filanti, falò finali.
Far festa, fuori, fra famosi fiori.

Femminilità: formidabile forza fiduciosa
fiorita fra fardelli, fatidiche fasi, fragilità faticosa,
fervori, fremiti, fobie,
furori, furbizie, follie.
Funeste fatalità falcidieranno fugaci felicità.

Femminilità fantasticata fra favole, fiabe, fate:
fantastico forestiero fatato, fanciulle fortunate,
futuro, fato, fiabesca Fenice.
Fidarsi, fermarsi, finalmente felice.
Fattucchiere fenomenali frantumeranno false fortune, fatali.

Femminilità: fertile frutto fra felci, fulva, fosca,
folta foresta, fiore, fragola fresca,
foglia frastornata fra fronde fruscianti,
ferita fra fatalità falcianti.
Facilmente folgorata, fatalmente frantumata.

Femminilità, fulgida fiamma fervente,
fuoco familiare faticato fedelmente,
febbrile favilla, fervore frainteso, fiaccato,
finanche ferito, funestato.
Fremito focoso finito fra fioco freddo fumoso.

Femminilità fiorente: falda, fonte,
fiume fluente, furia, forte fronte,
flusso fermato fra foschie, falsi fondali,
fondi falsati, fossi fatali.
Foce fallita, fango, facimale ferita.

Femminismo festante: fiaccole, fanfare, fierezze febbricitanti,
fingendo fuori fatiscenti fantocci farneticanti.
Falsariga, faraonica farsa, fingimenti fotocopiati
fungendo feticci, falsari, filibustieri fregiati.
Farmaco finale, formula fatale.

Forse finora, fra faide femminili, facinorose
(folleggianti folle, faretre, frecce, femmine focose),
favorire fanatici figli fortifica frivoli facitori:
fomenta fenomeni, fatui figuri, famelici facitori.
Formate figlie forti, finalmente: fermezza, femminilità fatta fierezza.

venerdì 7 marzo 2008

Nel bosco


Abbiamo lasciato il chiarore, nitido e vasto,
della primavera fresca e assolata.
Altra primavera, più fresca e scura, abbiamo scoperto,
qui, in questo bosco pomeridiano.

Avanziamo cauti – più stretti, più vicini –
tra fronde e tra rami carichi di gemme,
tra sentori silvestri e suggestioni boschive,
tra canti di flauto che uccelli nascosti improvvisano.

Non osiamo guardarci, già colpevoli,
mentre ci addentriamo in questo Eden tra i boschi.
Batte, il tuo cuore, tra i passi attutiti
nel sottobosco umido e molle.

Una calma – improvvisa – sa di un preludio,
nelle penombra che si fa più scura e ansiosa,
e d’un tratto si carica di viva attesa.
Tacciono i flauti di selva. E’ silenzio.

Poi un tuono: forte, che sconquassa. E ti scuote.
Lo scroscio è improvviso e intenso.
Già tutto gronda – i rami, le foglie –
e noi ripariamo lesti sotto l’Albero della Conoscenza.

E’ di freddo il tuo fremito?
Sei più bella, così bagnata e così indifesa.
Ti avvicini, tremi, sorridi.
Il tuo brivido ricerca l’abbraccio.

Lo colgo il tuo fremito.
E lo avvolgo e lo tengo stretto.
Siamo uniti in una dolcezza infinita,
in questo rifugio odoroso di terra boschiva bagnata.

E ti giri di là


Egoista.
E non so buttarla sul ridere:
che t’addormenti perché sei stato bene, per merito mio,
o che almeno sei rimasto qui, nel mio letto.

Noncurante e insensibile.
E mi sento mortificata:
nemmeno le sai le mie fantasie
o il piacere delle tenerezze e del preludio.

Arido e indifferente e freddo.
Mi fai sentire usata.
E le mie emozioni volgono in un pianto represso:
per la mancanza di un abbraccio,
di una carezza,
di un gesto delicato.
Di una intimità diversa

Quelle


Antipatiche.
Son appena entrata e già loro son là in agguato.
L’ultima volta fu ieri sera, in centro. Ecco come è stato:
cercavo qualcosa d’elegante, per una cena,
e dopo aver sbirciato vetrine e vetrine di gran lena,
l’occhio mi cade su una giacca che mi piace da matti.
Precipitata dentro, eccola: una di quelle, una commessa che non viene a patti.
Mi scruta per un attimo – e fu un attimo terribile.
E mi butta là una stola, tutta ricamata, prezzo indicibile.
Perfetta per i miei occhi blu: parola sua, così lei dice.
Tento di dirle che, ma lei – figurarsi – mica si contraddice.
Ed ecco poi una sciarpa, certo invenduta chissà da che stagione.
Dice che è bella, calda come un maglione.
Cerco di dirle che, ma già è la volta di uno scialle:
quanto donerebbe agli occhi miei blu quel capo prezioso sulle mie spalle!
Sto per dirle che, ma ecco ancor che butta là stavolta una tracollina.
Dice che mi starebbe bene anche di mattina.
Ora le dico che, ma alza un ciglio, e poi la frecciatina:
da loro le taglie son normali,
non tengono cose particolari.
Lo dice con distacco, scostante.
Io mi vergogno come una debuttante.
Non son riuscita a replicare: ero troppo avvampata.
Così, me ne sono andata.
Con le sciarpe non mi ha incantata,
ma – giuro – l’avrei strangolata.
Così, ieri sera, per la rabbia non ho cenato.
Antipatiche a dismisura, appena ti presenti già ecco che ti hanno inquadrato.
Hanno le antenne per captare l’insicurezza,
e se ne approfittano con perfida destrezza.

E’ vero che a volte entro in quei posti costosi
per sentirmi meglio, per godere degli ambienti lussuosi.
Non sempre mi serve un abito o una borsa.
Ma loro, antipatiche, ti fan uscir di corsa.
E poi mica scombino gli scaffali,
guardo e provo: non son cose normali?
Ma loro, sì, son proprio antipatiche, loro.
Odiose, quelle.

Ossessionata


Accogliente è la mia casa, mio marito niente male,
i miei son figli bravi: la mia vita è normale.
Infatuarmi alla mia età forse fu per voluttà.
Lui più giovane di me - io non più ragazza ormai –
m’ha fatta sentir desiderata come non mai.
Mi son concessa, per scoprir poi che a lui non interessa.
Stupida son stata, vorrei darmi l’oblio,
ma non so accettar ora l’addio.
Lui nella mia mente, io frustrata inutilmente.
Non trovo per distrarmi un diversivo,
l’amor per mio marito cerco di renderlo ancora vivo.
Gli ho detto il mio malcontento, senza svelare il tradimento.
Afflitta, mi son rifugiata nella preghiera,
ma era forse contrariato con me il Signore quella sera.
Amica di maschi mi son fatta, per capir la loro testa matta.
Ma è lui il mio pensiero fisso, non posso farne senza.
Drogata di lui, spasmodico il bisogno, dolorosa l’astinenza.
Perché noi donne siam così fragili? Perché siam così vulverabili?

Può esser mai che la nostra realizzazione
passi sempre e solo per l’uomo, come una dannazione?
E se la storia finisce, tutta la vita ci avvilisce.
Oltre al marito e all’amante occasionale, cosa in me di per sé vale?

Forse non ero innamorata: respirar volevo di vita una ventata.
E lui che senza il suo io di maschio si sente nullità,
per sentirsi forte ha preso il mio corpo e la mia intimità.
Delusa, sì, lo son tanto, nella pena del mio cuore affranto.
Sarebbe ed è nella mia vita normale che ho da coltivar quel che davvero vale.

Non mi capisci


Già, son proprio donna:
detto così, da te, scuotendo il capo, non è un gran complimento.
Eppure non capisci.

Non capisci che parlar con le mie amiche mi giova:
è nella nostra natura entrar in particolari e intimità,
son rilassanti le confidenze, lo spirito si rinnova.
Diversi gli amici tuoi, tutti stadio e motori e banalità.
E tu non comprendi, povero piccolo geloso e abbandonato.

Non comprendi che se improvvisamente piango e scoppio in singhiozzo
è per il sentimento che prevale sulla ragione.
Impara tu ad aprirti di più, non esser duro e rozzo.
So esser fragile, io, e so viver l’emozione.
E tu non capisci, grand’uomo tutto d’un pezzo.

Non capisci il mio duro lavoro e la fatica tutta mia.
Se poi ho voglia di parlare è perché mi fa bene che qualcuno stia ad ascoltare.
Ma tu cerchi invece sempre soluzioni, sbrigativo, pur di andare via.
E rimango più frustrata, avvilita, a rimuginare.
E tu non comprendi, uomo assente ed elusivo.

Non comprendi che io son io e che non è un difetto.
Son deleteri i paragoni con tua madre che ti stirava i pantaloni,
e con il suo manicaretto che ti dava tanto diletto.
Io so come van fatte le cose e non mi servon le opinioni.
E tu non capisci, caro cocco di mamma.

Non capisci i miei malumori e i mal di testa.
Mai ti presenti con un fiore o un complimento.
T’infili poi nel letto e pretendi che sia festa.
Non sai che i preliminari dolci e lenti hanno il loro momento.
E tu non comprendi, maschio frettoloso e presuntuoso.

Sì, son donna: quella che t’ama.
E tu, a tuo modo, mi stai accanto.
Sai farmi ridere e io m’arrendo.
Di ragioni tu, qualche volta, ne hai, uomo che amo.
Qualche volta ne hai, qualche volta, ogni tanto.
Ogni tanto.

Libera, per dignità


Eppure diceva d’amarmi.
Nell’intimità mi chiedeva di farlo in modo diverso.
Troppo diverso: lui era perverso.
Ma uno che ama può farmi del male e umiliarmi?

Mi ero spaventata: quel che cercava è troppo forte.
Per la mia dignità sarebbe stata la morte.

Convinta in fondo che m’amasse,
forzando me stessa, ho lasciato che mi guidasse:
se in modo diverso e così perverso voleva amare
non era forse perché sensazioni così intense nessun’altra gli faceva provare?

Il gioco erotico mi piace e il gusto della fantasia è per me intrigante,
ma c’è un confine oltre il pudore e l’imbarazzo:
è la paura, il dolore e la condizione umiliante.

Eppure diceva d’amarmi.
Incattivito, a volte violento, si faceva scuro.
Poi era così dolce che io, stupida, credevo m’amasse di sicuro.
La verità è una sola, sempre la stessa:
l’amavo troppo, fino a scordar me stessa.
E’ pericoloso accogliere ciò che è brutto
e lasciarsi convincere che per amore si può accettare tutto.

Per la vergogna, alla fine mi sentivo in colpa, sporca e sbagliata.
E più difficile era ancor sottrarmi: mi amava, lo giurava,
lo ripeteva ogni volta che voleva fossi da lui guidata.
Il dubbio lo avevo: fa del male chi ama davvero?

Conta per lui soltanto il suo piacere,
che è quello di dominare e di far soggiacere,
per sminuir la dignità altrui e dimenticar così di non valere.

Ero per lui quella che apparivo facendomi trattare in quella maniera.
Non son così, e mi son messa in salvo fuggendo via: dell’amore, lì, nulla c’era.

Divorzio


Non lo vedevo da tre anni,
dopo che per legge fu sancita la separazione.
La nostra storia matrimoniale finita in tribunale,
finita l’avventura d’un amore e sciolta l’unione,
dopo tante liti e tanti affanni.

E oggi si chiude la partita,
giocata con le rivalse e con le incomprensioni,
piena di errori e di rancori.
Si chiude freddamente, senza più passioni.
Si chiude così un’intera vita.

La burocrazia impone timbri e firme per sciogliere un amore.
Nessuno ha vinto in questo armistizio dopo la guerra.
Il nostro amarci profondo era un’arte, e ora lo chiamo controparte.
Volavamo alto, e siam finiti a terra.
Finisce oggi, in carta bollata, una vicenda che ha avuto il suo splendore.

Ti ho visto arrivare, da lontano.
La tua voce, il tuo sorriso spento: tutto è neutrale.
Eccoci pronti: con l’avvocato sediamo davanti al magistrato.
Non c’è dibattimento: vogliono solo la nostra firma finale.
Ma che mai ne sa un giudice assegnato di quando noi ci tenevamo per mano?

Siam fuori, tutto è finito.
Ci avviamo soli, nel disagio.
Ha un senso di niente questa libertà decretata legalmente.
In questa condizione nuova, tu ed io camminiamo adagio.
M’accompagneresti a casa, tu che or più non sei mio marito?

Per te, lo so, è cosa strana, ma la porta ti sto aprendo.
Siam qui di nuovo, tra queste quattro mura.
Che tutto sanno: tradimenti, passioni, amore e inganno,
tenerezza e rabbia, dolcezza e liti, silenzi e poi chiusura.
E non parliamo: forse davvero siam cambiati. O stiam forse solo fingendo.

Siediti un momento, ti offro un calice di vino.
Ti accomodi e un po’ confuso ti guardi intorno:
se pur qualcosa è mutato, molto di familiare è restato.
Se sto bene e son contenta? Mi stringo nelle spalle, mi guardo attorno,
per cacciar via una lacrima, seduta qui, a te quasi vicino.

Devi andare, capisco, non rimani.
Sei già alla porta, ma come ci si saluta dopo la sentenza?
Dici il mio nome, in tono sospensivo. Dico il tuo, nello stesso modo vivo.
Ed è un abbraccio, improvviso e forte. Nel tuo sguardo non leggo indifferenza.
Non dico nulla, ma spero, spero tanto, lo spero, che ancor nostro sia il domani.

domenica 2 marzo 2008

Istintività


Non so ancora se sia sogno che par vero
o tanto sia vero che par sogno:
io, qui distesa al caldo sole
di un mattino estivo
su una spiaggia deserta di finissima sabbia
dorata.
Il mare in calma, nel suo intenso blu.

E’ il piacere immenso di prendere il sole,
il calore sulla pelle, l’olio profumato.
Ed è desiderio di scoprirmi e abbronzarmi:
desiderio di sentirmi più bella.
Davvero è un gran dono questo momento,
nel gusto di poter godere tanta piacevolezza
- in così poca semplicità – da riscoprire e prolungare.
E mi abbandono a gustare fino in fondo
questo appagamento profondo.

Distesa, chiudo gli occhi sull’azzurro celeste
e mi appare un altro cielo, tutto mio,
color dell’ambra e dell’oro, in cui
vagano vive e silenziose piccole galassie luminose.
E’ in questo mio cielo nascosto
che prende forma il sogno indotto
da desideri che la mente lascia passare
nella spontaneità ritrovata
della naturalezza delle emozioni.
Così, nel piacere diffuso dal calore solare sulla pelle,
accolgo grata ogni sensazione
che or vivo intensamente.

Visioni di luce e luminosità percepite.
Profumi di mare con un che di sensuale.
Lo sciabordio calmo del mare.
Sapori istintivi.
Sensazioni corporee sulla sabbia calda o dorata.

Nel sogno prende quasi forma una presenza seducente,
invisibile, magica, irresistibile.
E i miei sensi
iniziano una danza.
La danza dei veli.

Io amante per rabbia


Vedi, donna come me offesa,
che gravi parole d’altri tempi io uso:
io amante, tu sposa tradita, lui tra di noi adultero.
Ho una gran pena per questo mondo libertino
che libero si crede cambiando nome alle brutture.
Non ti chiedo, signora, di perdonare
me e lui e quello che abbiam fatto.
Non ho la spudorata sfrontatezza
di chiederlo a te,
profondamente ferita nell’anima.
Vorrei solo tu capissi, per averne pietà,
cosa ha mosso me che ho accettato d’esser amante.
Sai, non devi pensare
a chissà quali follie amorose.
Vuoi saperlo? L’ho fatto per punirmi e per distruggermi.
Ero appena stata lasciata da un altro uomo, che amavo davvero:
ero stata solo un suo giocattolo per un’avventura.
E m’ero convinta poi che nulla meritassi,
se non di soddisfare i capricci maschili.
Ho scelto il peggio: son diventata amante.
La tua sofferenza la so, anche se fino in fondo, no.
Ma tu, ora, non aggiungere astio al mio dolore.
Sconto già il mio peccato, come è giusto.
E’ una gran fatica disprezzarsi di giorno in giorno
per non aver detto di no,
salvando me dall’abbruttimento
e te dal dolore profondo.

Consapevolezza


Oggi.
Un altro oggi.
Ma questo oggi lo voglio accompagnare,
arrendendomi ad esso: non gli sarò antagonista.
L’ho accolto sin dal mattino presto,
quasi l’attendevo,
quando il sole che sorgeva
lo rischiarava piano di luce e di magia.
Un nuovo giorno.
Un giorno nuovo.
Ne assecondo con dolcezza
lo scorrere tacito
nelle ore senza rintocchi.
Nel silenzio ne avverto la bellezza.
Nella calma ne colgo il significato.
Mi arrendo a questo oggi.
E i miei gesti e il mio sentire
si fanno a tratti preghiera senza parole,
nella consapevolezza dell’oggi che vivo.

Il mio cuore, il mio ventre


Senza di lui sarebbe dolore e rabbia, e lancinante senso di vuoto.
Lui che mi travolge nelle emozioni, lui che mi stravolge nei sensi.
Bruciante è la passione, nella fisicità che si fa tempesta e toglie il fiato.
Colgo il suo odore: ed ecco, già il fiume è in piena.
Lui impegnato con l’altra: eccita il desiderio, per trasgressione e per rivalità.
Io lo amo: lo amo col ventre.

L’altro, così diverso: protettivo e tenero e sol per me.
Con lui sorrido, con lui sto bene: lui riposante.
E lui libero, lui tranquillo, appagante nell’amore quotidiano.
Lasciarlo, davvero no: è la mia serenità amorosa.
Nel far l’amore è dolce, non perdo la ragione e mi rimane il fiato.
Io lo amo: lo amo col cuore.

Lei non comprende


Lei è giovane e carina, aggraziata e brillante, dolce e sognante.
E innamorata. Perdutamente.
E cieca: guarda e non vede.
E sorda: ode e non sente.

Lo guarda, trasognata: bello, simpatico, affascinante.
Guarda invece le amiche di lei, lui, e le corteggia.
Lei, divorata dalla gelosia, nell’angoscia di perderlo.
Lui che suscita in troppe lacrime e sospiri.

Lui, superficiale e vuoto.
Lei che spera di cambiarlo.

E lei che non capisce e non sa che gli uomini non cambiano.
Lei che non comprende: lei innamorata.
Lei che soffrirà soltanto.
Perché, se è vero che gli uomini non cambiano,
è vero che le donne non lo capiscono.